Sneak JB Fellowship

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    Parola al Tenente Colonnello Massimo Giraudo Il colonnello mi manifestò una grande vicinanza quando emerse un progetto omicidiario nei miei confronti nell'ambito delle indagini svolte sulla strage di Piazza Fontana. Mi fu particolarmente vicino...

    ci può spiegare in maniera sintetica?

    (...) al terzo o quarto colloquio con una mia fonte di ordine nuovo (riassunto non letterale per non annoiare la già fragile attenzione del lettore. ndr) questi ritenendomi un ufficiale onesto mi rivelò che tutte le informazioni che mi stava dando e i contatti con lui li riversava ad un ufficiale della CIA, che era quindi informato della mia attività e che era interessato ALLE NOTIZIE SUL RUOLO DEGLI AMERICANI SULLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA.



    Tenga presente presidente che lavorare contro un paese che è nostro alleato e partner è quanto di più difficile ci possa essere perché ogni tuo collega può diventare un nemico perché molte persone non capiscono o hanno un mal riposto senso della giustizia internazionale.







    Addirittura Giraudo sa che Rocchi aveva inviato il suo biglietto da visita alla DEA dell'AMBASCIATA AMERICANA.


    Presidente: "torniamo al punto di partenza. c'è questa fonte che le dice che Rocchi trasmette informazioni alla CIA e a soggetti americani, questa cosa viene riscontrata come ci ha appena detto. Ma fa riferimento ad un progetto omicidiario nei suoi confronti."

    Massimo Giraudo. "Pitarresi, la mia fonte di ordine nuovo, mi disse che l'uomo della CIA, Rocchi, gli disse che "dovevo essere messo orizzontale"


    Nel ricordare la solidarietà di Di Caprio in codesta occasione Giraudo ha la voce rotta. Questo ci rende l'idea di quanto seriamente abbia preso la minaccia. Minuto 26
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    Ancora oggi molti faticano a comprendere il ruolo di JB nei delitti del mostro di Firenze così come nella PsyOp in Italia chiamata "strategia della tensione".
    Persino ora che la PsyOp governa dichiaratamente le nostre esistenze, prima con il covid 19 e ora con l'orwelliana guerra permanente non riescono proprio ad ipotizzare che il governo, i servizi, lavorino contro la cittadinanza, per terrorizzarla ed ottenere quel che il potere vuole: principalmente maggior potere.
    Eppure persino i giornali mainstream sono costretti a raccontare per lo meno le sentenze che confermano gli elementi da noi rinvenuti.
    Ecco quindi l'articolo, che tanto verrà letto con il livello analitico di questa nuova normalità, senza ravvisare alcuna relazione con la storia da noi tutti scoperta: quella di un uomo che lavorava per i servizi americani, coperto dai nostri, legato e con ogni probabilità finanziato da gruppi esoterici-massonici che hanno progressivamente infiltrato il potere tramite operazioni psicologiche atte a controllare la popolazione tramite la manipolazione più che con una maggiormente costosa occupazione militare. Come da obbiettivo iniziale e dichiarato di Aquino Colby &co.


    BOLOGNA - "La giustizia non ha fine" dice Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime del 2 Agosto. Ma oggi una parola fine almeno nel nuovo processo della strage alla stazione è arrivata, 42 anni dopo: ergastolo per Paolo Bellini, ex di Avanguardia Nazionale accusato di concorso nella strage, con un anno di isolamento diurno. La sentenza è stata letta in aula poco fa dal presidente della Corte d'Assise, Francesco Caruso.

    L'"uomo nero", 68 anni, viene riconosciuto da questa sentenza come quinto attentatore, in concorso con i Nar condannati in definitiva, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e, in primo grado, Gilberto Cavallini.

    Per quanto riguarda gli altri imputati, l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel è stato condannato a sei anni per depistaggio, come chiesto dai pg, mentre per Domenico Catracchia, l'ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, (dove verrà detenuto Moro, informazione rilevata dallo spirito di Pico della Mirandola ad un professore bolognese, che lo dirà a Roma che farà finta di non capire inviando le ricerche a Gradoli paese, e molte altre cose NDR)imputato per false informazioni ai pm, la pena decisa dalla corte è di quattro anni, superiore ai tre anni e sei mesi chiesti dalla procura generale.

    In aula erano presenti solo Bellini e Segatel. Prima di ritirarsi per deliberare si sono svolte le ultime repliche dei Pg alla difesa di Segatel, assistito dall'avvocata Anna Colubriale, che poi ha preso la parola portando a termine le sue controrepliche.


    2 Agosto, processo ai mandanti: le tappe

    Il 26 ottobre 2017 la Gip Francesca Zavaglia era entrata in aula per decidere la richiesta di archiviazione del fascicolo "Mandanti" presentata dalla Procura ordinaria. Per i pm di via Garibaldi l'indagine svolta per alcuni anni non ha portato risultati apprezzabili e va dunque cestinata. (come di solito accade, si veda ad esempio l'archiviazione di piazza Fontana in cui a identificazione certa di JB come l'unica persona possibile identificata dall'ufficio esteri riservata della testimonianza Virgillito si preferisce indagare il test virgillito, i suoi complessi edipici, e la diffidenza verso gli immigrati. NDR) A inizio udienza, a sorpresa, si presentano però l'avvocato dello Stato Alberto Candi e il sostituto procuratore Nicola Proto con in mano una richiesta di avocazione dell'inchiesta.

    Niente archiviazione, la Procura generale ha deciso di estromettere la Procura ordinaria e di andare avanti, di cercare ancora. Zavaglia guarda le carte, ascolta magistrati e parti civili e detta i tempi: "Due anni per indagare, poi basta". I pm del procuratore Giuseppe Amato gestiranno solo il processo contro Gilberto Cavallini, ex Nar, poi condannato all'ergastolo (in primo grado) quale componente del gruppo di stragisti assieme a Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (tutti e tre già condannati in via definitiva). I magistrati del Procuratore Ignazio De Francisci invece continueranno a dare la caccia ai mandanti.


    Per completare il pool, a dare man forte a Candi e Proto, arriva il sostituto Umberto Palma. Si inizia a lavorare partendo dagli elementi messi assieme dai legali dell'associazione dei familiari delle vittime della strage. Sulla scrivania c'è un lungo memoriale nel quale si parla di un filmino girato in stazione il giorno dell'attentato, delle intercettazioni di Carlo Maria Maggi provenienti dal processo sulla strage di Brescia e, soprattutto, il "documento Bologna", l'appunto sui flussi di denaro del capo della P2, Licio Gelli, dal 1979 al 1981.
    Nei due anni successivi dell'inchiesta trapela poco o nulla. Si sa delle trasferte dei magistrati a Milano, a Roma, a Palermo e di decine di persone sentite.
    Il 30 marzo 2019 gli inquirenti chiedono che il fascicolo su Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia nazionale, venga riaperto. La sua posizione era stata archiviata nel 1992, ma adesso affiorano nuovi elementi. Il più importante è che nel filmino girato in stazione si vede un uomo che gli somiglia, potrebbe essere lui. Bellini, reo confesso dell'omicidio del militante di Lotta Continua Alceste Campanile e di una dozzina di delitti, risulta essere un killer legato ad ambienti dei servizi segreti deviati. Ora è nuovamente indagato per la strage, anche se per il 2 agosto ha un alibi: quella mattina, fa mettere a verbale, non poteva essere a Bologna, è partito presto da Rimini con la moglie per una vacanza sulle Alpi.



    L'11 febbraio 2020 arriva la conclusione indagini. Si scopre che sono quattro gli indagati. A Bellini viene contestata la strage in concorso di Licio Gelli, Umberto Ortolani (suo braccio destro), Federico Umberto D'Amato (ex capo dell'Ufficio affari riservati del ministero dell'Interno (guarda chi si rivede. ndr) ) e Mario Tedeschi (ex direttore de "Il Borghese" ed ex parlamentare del Msi). Sono tutti già deceduti, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori della strage.

    Bellini avrebbe agito assieme ai Nar già condannati. Gli investigatori sostengono di aver ricostruito il flusso di denaro che dalla P2 è stato elargito ai terroristi neri per l'operazione "Bologna". Le indagini, inoltre, hanno stabilito che quello nel video della stazione è il neofascista, e in più c'è la testimonianza dell'ex moglie, Maurizia Bonini, che lo ha riconosciuto.

    Oltre a Bellini nel mirino degli inquirenti finiscono anche l'ex generale dei servizi segreti di Padova, Quintino Spella (deceduto poco prima l'inizio del processo), accusato di depistaggio, l'ex carabiniere Piergiorgio Segatel, anche lui per depistaggio, e Domenico Catracchia, accusato di falso. (chi pensa che Virgillito è inattendibile perché lo dice il PM dovrebbe almeno considerare la possibilità di un falso, di un depistaggio, no? NDR)

    Il 15 febbraio 2021 il Gip, Alberto Gamberini, rinvia tutti a giudizio, il processo si aprirà il 16 aprile. La corte d'Assise di Bologna è presieduta dal presidente del tribunale Francesco Caruso.

    Settantasette udienze, oltre cento testimoni ascoltati in aula, un confronto all'americana (allora si può fare. perché a Virgillito non si è mostrato JB in mezzo ad altri 9 soggetti. Sarebbe costato poco e avrebbe eliminato ogni dubbio, indipendentemente dai suoi complessi edipici) e diverse decine di verbali, di informative degli investigatori. Una mole di lavoro imponente che parte dalla strage di piazza Fontana per finire alle testimonianze raccolte anche di recente tra gli ufficiali di Sismi e Sisde ancora in vita. Viene ricostruita minuziosamente la rete dei gruppi eversivi di estrema destra, i rapporti con i servizi segreti, omicidi, attentati e rapine. Protezioni inconfessabili di Bellini, come quella dell'ex procuratore di Bologna, Ugo Sisti.

    E ancora: i flussi di denaro di Gelli, il ruolo di spione di D'Amato, la pista che porta ai legami con le mafie e con apparati segreti dello Stato come "L'anello". (come volevasi dimostrare. NDR)
    La vita dell'imputato viene sezionata, dai primi delitti tra le fila di Avanguardia nazionale della fine degli anni '70, ai lavori sporchi per conto della destra, la fuga in Brasile, la latitanza col falso nome di Roberto Da Silva e i legami del padre Aldo con fascisti e spie di Stato.

    La svolta processuale si registra il 21 luglio 2021, giorno in cui in udienza l'ex moglie, dopo aver visionato il video amatoriale del 2 agosto, conferma: "E' lui". Per poi aggiungere che l'alibi fornito a suo tempo è falso.

    Bellini si è sempre detto innocente: "Sono un ladro, un assassino, un criminale, ma non uno stragista". Durante il processo è stato male più volte, operato al cuore, poi contagiato dal Covid, ma ogni volta che ha preso la parola lo ha fatto per dire che non ne sapeva nulla. La sentenza di oggi mette un punto, ma non l'ultimo.



    Sperando che prima o poi a una qualche procura sfugga alla macchina cannibale delle archiviazioni coatte e riapra il caso Vinci, facendo ciò che semplicemente e banalmente andrebbe fatto, ovvero verificare, al di là delle illazioni sul test, se la persona riconosciuta dall'ufficio affari esteri riservati come JB sia effettivamente lui, anche se non era accreditato in Finlandia (cosa che può aver detto per confondere o essere un'informazione non conosciuta dal PM) e si è mostrato pelato (cosa che al più conferma piuttosto che smentire, e sappiamo perché)
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    Esce oggi questo articolo, che riporto in parte commentandolo.

    https://bologna.repubblica.it/cronaca/2022...ogna-344362129/

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    Processo a Pacciani, arriva il testimone principale.

    Ammettiamo in uno sforzo di immaginazione di raccontare l’interrogatorio dell’avvocato difensore Bevacqua, con tutte le informazioni emerse successivamente.

    Avv: “da quanti anni lei è in Italia?”
    JB: 26 anni
    Avv: quindi anche nel 74 lei c’era (il primo delitto del MdF sappiamo essere quello)
    JB: si ero appena tornato
    Avv: nel 68 lei c’era?
    JB: sono arrivato nel 64 ma sono andato via dall’Italia per lavoro
    Avv: in Toscana quanto è stato
    JB: 22 o 23 anni
    Avv: si è sempre occupato di bare, di cimiteri, di morti…?
    JB: no lavoravo nella polizia criminale.
    Avv: quale polizia criminale?
    JB: la polizia militare criminale americane, la criminal investigation division dell’esercito.
    Avv: mi scusi no ho capito. Ma lei quindi lavorava per il CID mentre era in Italia, giusto?
    JB: sono dipendente dell’ambasciata americana, avevo il distintivo del Cid ma mi usavano come sovrintendente dei cimiteri monumentali.
    Avv: vostro onore non siamo in America e quindi non abbiamo confidenza con i ruoli americani ma a me banalmente risulterebbe che gli unici militari autorizzati ad operare in territorio straniero, per quanto alleati e sottoposto, siano gli agenti della CIA, non del CID. Una lettera che però cambia tutto.
    Lei aveva anche pistole, mentre lavorava al cimitero come copertura per il CID, che a questo punto ci sembra un’altra copertura per la CIA?
    Canessa: obiezione vostro onore
    Giudice: accolta, non faccia illazioni avvocato.
    Avv: ritiro parte della domanda. Lei aveva pistole?
    JB: no solo I MANI
    Avv: lei è sotto giuramento. Le mie saranno illazioni vostro onore ma queste sono menzogne spudorate. Ho qui le armi in dotazione agli agenti del CID, usano revolver. Inoltre lei Sig. Bevilacqua è stato in Vietnam, giusto?
    JB: si avvocato sono un veterano
    Avv: e che veterano ho qui la sua silver star, la croce d’argento. Lei è un eroe. Quest’uomo vostro onore ha fatto un’operazione e di recupero del suo plotone, da solo, dopo aver chiamato gli f4 a distruggere tutto con il napalm si è lanciato strisciando contro i Vietcong per recuperare i suoi uomini.
    È uscito da quell’inferno legandosi un soldato alla gamba con il lacciò del fucile, davvero encomiabile.
    JB: grazie avvocato ho fatto solo il mio dovere
    Avv: in che reparto è stato? È vero che è stato uno PsyOp?
    JB: si avvocato
    Avv: e cosa farebbero di diverso, rispetto agli altri, gli PsyOp
    JB: noi mandavamo volantini e messaggi sonori in vietnamita per parlare alla popolazione, dire di arrendersi o passare a noi
    Avv: vi è capitato che dopo aver ucciso qualcuno abbiate fatto dello staging?
    JB: non capisco questa parola
    Avv: eppure è nella sua lingua.
    Avete mai disposto i corpi lasciando delle tracce o un racconto per spaventare le popolazioni locali? Non avete forse lasciato i vessilli dei demoni locali dopo aver sterminato e trucidato seviziando le donne e bambini, in modo che chi li trovasse credesse che i demoni erano compiaciuti dal vostro operato?
    JB: io non posso parlare di quel che è successo in guerra
    Avv: e lo credo bene, e d’altronde non siamo qui per questo, ma ci serviva per capire il suo curriculum, le sue doti, chiamiamole così, militari.
    JB: ora però lavoro solo al cimitero
    Avv: certo, ci ha detto però che andava e veniva.
    JB: per lavoro si
    Avv: dunque nel 58 non c’era
    JB: no avvocato
    Avv: però ormai sappiamo che il primo delitto del 68 potrebbe essere un depistaggio. Nel 69 dov’era?
    JB: ho fatto varie missioni
    Avv: lei ne sa di arte?
    JB: ho una laurea
    Avv: accidenti. E ne sa anche di chimica magari?
    JB: ho una laurea anche in chimica,
    Avv: complimenti. Lei quindi conosce bene gli Uffizi, i quadri di Botticelli?
    saprebbe fare una bomba?
    Canessa: obiezione vostro onore
    Giudice: respinta. Vediamo cosa ha in testa, avvocato, ma arrivi al punto.
    Avv: lei conoscerà anche l’ultima cena di Leonardo. È mai stato a Milano?
    JB: certo molte volte.
    Avv: nel 69, ad esempio, si ricorda se nei giorni intorno al suo compleanno, poco prima, è passato da Milano, magari da piazza FONTANA, signor Bevi-l’ACQUA?
    JB: non mi ricordo, è passato tanto tempo
    Avv: per fortuna abbiamo un testimone, vostro onore, tale signor Virgillito Alfredo, che GIURA di aver conosciuto un JOE della CIA (a dire dello stesso Joe) che gli ha confessato di aver messo la bomba nella banca dell’agricoltura.
    E, guarda te alle volte le coincidenze, il PM che ha archiviato l’inchiesta era stato informato dall’ufficio affari esteri riservati che l’unico Joe che poteva coincidere con il Joe del racconto, l’unico viste onore, è il Sig. Joseph Bevilacqua nato a Totowa, New Jersey, il 20 dicembre 2935. Si riconosce con questi dati signor “Giuseppe” Bevilacqua.
    JB: si sono io.
    Avv: con il permesso della corte chiedo di far entrare Alfredo Virgillito
    Canessa: obiezione vostro onore, non stiamo facendo un processo al testimone e non siamo qui a giudicare i fatti di Piazza Fontana.
    Avv: no ma credo non sia irrilevante se si dovesse scoprire che il testimone principale contro il mio assistito è il più probabile bombarolo dei servizi segreti, tutta la sua testimonianza andrebbe rivista con una luce differente.
    Giudice: prosegua avvocato

    Entra Alfredo Virgillito, che immediatamente identifica il Joe.

    Avv: inoltre ha notato, giudice, che il testimone è molto somigliante al testimone?
    Giudice: è vero si assomigliano
    Avv: è appena quel poco più alto che gli permetterebbe di essere il mostro, cosa che Pacciani non può essere perché troppo basso.
    sembra di parlare di cinema, di fiction, ma se il Bevilacqua fosse, ammettiamo per un attimo, davvero una spia, chi, se non una spia, avrebbe pensato ad un sosia da incolpare per i suoi stessi delitti?
    Giudice, in forza a quel che abbiamo sentito io chiedo che il Bevilacqua sia arrestato per i fatti di Piazza Fontana, indagato per i delitti del MdF dal 74 in poi, e che la sua testimonianza contro il mio test sia cancellata dal dibattimento perché ritenuta non ammissibile.
    JB: lei non può farmi arrestare ho la protezione diplomatica e sono tutelato dal segreto di stato
    Avv: il segreto di stato decade di fronte ai fatti di stragi, di stato.
    Giudice: si proceda all’arresto del Test per la bomba di Fontana e gli si mandi immediatamente un avviso di garanzia per i delitti del cosiddetto mostro di Firenze.
    Pacciani, lei è un uomo deplorevole, ma non c’è uno straccio di indizio di colpevolezza nei suoi confronti, è assolto.


    E vissero tutti felici e in verità
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    <vi posto questo articolo di LaRepubblica. Vedrete quando il quadro che abbiamo raccontato stia lentamente entrando nel mainstream. Giraudo inarrestabile come sempre. Buona lettura.

    Vi linko anche il podcast per chi non vuole leggere
    www.repubblica.it/podcast/le-inchieste?pubdate=2022-01-28

    Quando l'hanno battuta le agenzie, poco prima di Natale, la notizia ha faticato a conquistarsi una breve. Due chiusure indagini per la strage di piazza della Loggia e due nuovi e semisconosciuti estremisti di destra accusati di aver messo la bomba che dilaniò Brescia alla fine del maggio di 48 anni fa, uccise otto persone, ne ferì un centinaio, inaugurò l'ennesima stagione dello stragismo di mano neonazista con la complicità di pezzi dello Stato. Già perché ha già due colpevoli, quell'attentato, arrivati però soltanto con la sentenza di Cassazione del 2017. Uno, Carlo Maria Maggi, ex capo dell'organizzazione neofascista "Ordine Nuovo" nel Triveneto, è morto l'anno dopo. L'altro, Maurizio Tramonte, la fonte "Tritone" del Sid (l'allora servizio segreto militare), sta ancora combattendo la sua battaglia per la revisione del processo. Per questo, le storie di Marco Toffaloni e Roberto Zorzi - che sono appunto i due accusati dell'ennesima indagine della Procura di Brescia - potrebbero benissimo essere due note a margine della storia nera d'Italia. Invece, nelle 280mila pagine (mal contate) di atti depositati in Tribunale, e consultati integralmente da Repubblica, c'è molto altro. C'è la consueta ricerca documentale del "secondo livello" (quello degli uomini incardinati nelle istituzioni italiane) e ci sono nomi e cognomi di ufficiali degli apparati: Sid, Carabinieri, Polizia. Ma c'è, soprattutto, l'indicazione di un inedito terzo livello. Parliamo del Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa - leggi: Nato - il cui cuore sarebbe stato a Palazzo Carli, a Verona, la città di Toffaloni e Zorzi. Qui, con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi, si sarebbero svolte le riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe dovuto sovvertire la democrazia italiana e rinsaldare lo scricchiolante fronte dei regimi del Mediterraneo. Quello che, all'epoca, teneva insieme il Portogallo salazarista, la Grecia dei colonnelli e la Spagna franchista.

    D'istinto, lo si direbbe un romanzo fantasy costruito su migliaia di informative, verbali, intercettazioni, pedinamenti e vecchi faldoni, recuperati dalla magistratura negli archivi dei nostri Servizi e in quelli degli Stati Maggiori dei nostri apparati militari e della sicurezza a forza di decreti di esibizione, e in cui si dipana anche la storia di un pugno di ragazzi figli di quel tempo. Con la passione per il calcio, le moto, i giochi da adulti, l'esoterismo. Un mondo popolato da donne bellissime e attori, svastiche e orge, agenti doppi e vendette. Per una vicenda tragica che ha fatto morti prima di quel terribile 28 maggio 1974, e forse continua a farne. Già, perché chi indaga sulla strage di Brescia si è sempre trovato di fronte a due nodi da sciogliere. A due bombe. La prima, esplosa nove giorni prima, alle 3 di notte, falciò un ragazzo di vent'anni in Vespa. Si chiamava Silvio Ferrari, era un neofascista che aveva già commesso attentati e andava a far saltare l'uscio della sede della Cisl. Ma non fece in tempo. Saltò in aria all'imbocco di piazza Mercato. Fatalità, errore umano o trappola? Uno dei migliori amici di Ferrari, Arturo Gussago, finì a processo accusato di strage, e come tutti i coimputati fu assolto. Faceva l'avvocato. Il 24 dicembre, quattro giorni dopo la chiusura di questa inchiesta, un infarto lo ha stroncato. Il supertestimone che ha guidato gli investigatori tra i segreti bresciani e fino al comando Nato di Verona (lo chiameremo "Alfa", per motivi di sicurezza, e sarà l'unico nome che non faremo), ha fatto tanti nomi di persone coinvolte nella strage. Quello di Gussago è stato l'ultimo, pochi mesi fa.

    Questa storia comincia, o meglio, ricomincia, quando ancora l'ultimo dibattimento è alla prima delle sue cinque puntate. Alla sbarra, oltre a Maggi e Tramonte, ci sono il neofascista Delfo Zorzi (uscito indenne dai processi per piazza Fontana e la strage di via Fatebenefratelli del 1973), Pino Rauti in quanto nume di Ordine Nuovo, il chiacchieratissimo generale dei carabinieri Francesco Delfino, che a Brescia condusse le prime inconcludenti indagini, e il suo confidente Gianni Maifredi. Camicie nere, pezzi di Stato, mondo di mezzo tra neofascismo e criminalità. Giampaolo Stimamiglio è tra le gole profonde di quell'inchiesta e tra i testimoni-chiave dell'accusa. Padovano, molto amico di Giovanni Ventura, ex Ordine Nuovo poi passato alla V Legione, Stimamiglio è un reduce che molto sa e molto ha sentito dire. Nel luglio del 2009, non avendo ancora vuotato il sacco dopo quindici anni di interrogatori, contatta il colonnello del Ros Massimo Giraudo, investigatore che naviga il mare dell'eversione dall'inizio dei Novanta, godendo del massimo della fiducia da alcune Procure (Brescia, Palermo) e del minimo da altre (Milano, Bologna). All'ufficiale, Stimamiglio racconta due cose. Due confidenze che avrebbe raccolto dal generale in pensione Amos Spiazzi, altra vecchissima conoscenza delle trame nere, versante golpista, fin dall'arresto per l'affaire Rosa dei Venti.

    La prima: piazza della Loggia, nella sua fase operativa, sarebbe stata una joint venture tra neri bresciani e veronesi.

    La seconda: c'era un ruolo atlantico nella regia della bomba, e un uomo chiave sarebbe stato Aldo Michittu. Già, proprio l'ufficiale protagonista di uno scandalo da operetta nel 1993, una storia di complotti presunti e ricatti veri ordita insieme alla moglie e starlette Donatella Di Rosa, impietosamente ribattezzata "Lady Golpe".

    Sembra una trama da serie tv, quella di Stimamiglio, che nei mesi successivi aggiunge dettagli nuovi. C'era una "Scuola", tra i duri e puri di Ordine Nuovo a Verona, che addestrava i suoi adepti agli attentati. Evoca Elio Massagrande e Roberto Besutti, due nomi storici del neonazismo più radicale, e i loro allievi Paolo Marchetti, Fabrizio Sterbeni, Roberto Zorzi, Umberto Zamboni, Marco Toffaloni. Ognuno di loro, negli infernali Settanta, aveva almeno un fascicolo a carico. Dice, infine, il confidente, che ad ammazzare Silvio Ferrari non fu il fato, ma una mano omicida che aveva manipolato il tritolo, ed era scaligera. Stimamiglio vorrebbe il programma di protezione. Nell'attesa, accetta di mettere tutto nero su bianco con i magistrati. La voce corre anche tra i vecchi camerati e qualcuno di loro, come Stefano Romanelli, comincia a parlare tra mille reticenze. Finché, il 6 aprile 2011, Giampaolo Stimamiglio cala l'asso. Rivela di aver incontrato, vent'anni prima, Marco Toffaloni. Erano nel motel gestito a quel tempo da Claudio Bizzarri, altro chiacchieratissimo ex camerata, parà già inquisito da Vittorio Occorsio e di recente accostato alla strage di piazza Fontana. Sorrideva, quel giorno, Toffaloni, rivangando i bei tempi. E a un tratto esclama: "Anche a Brescia gh'ero mi!". Piazza della Loggia? "Son sta mi!". Eppure, il 28 maggio 1974, Marco Toffaloni si avvicinava al suo diciassettesimo compleanno. Stimamiglio chiese: c'era anche Roberto, te l'ha consegnata lui? "Sì, certo". I pm Piantoni e Chiappani e il procuratore Pace sobbalzano. L'11 aprile Marco Toffaloni e Roberto Besutti vengono iscritti nel registro degli indagati. Di Michittu non si sentirà più parlare.

    Il vecchio e il giovanissimo. Un istruttore di lanci d'aereo col mito della Rsi, che dalla metà degli anni Sessanta faceva la spola tra Mantova e Verona, conosciutissimo da Servizi e Antiterrorismo. E un ragazzino col mito del superuomo e dell'esoterismo, delle armi e del fuoco, che si era fatto una fama nera fin da minorenne.

    Prima con Amanda Marga, la setta importata dall'India che predicava purezza e svastiche. Poi con gli incendi dolosi delle Ronde Pirogene Antidemocratiche, banda che colpiva tra Bologna e Verona e vantava stretti legami - e forse qualcosa di più - con Marco Furlan e Wolfgang Abel, il duo che sotto la sigla "Ludwig" aveva sterminato decine di vittime colpendo tra gay, disabili, frequentatori di discoteche e cinema porno.

    Lo chiamavano "Tomaten", Marco Toffaloni. Alla tedesca. Per quel suo vezzo di arrossire spesso. Ma era la sua unica debolezza. Feroce negli scontri di piazza, fin dai tempi in cui distribuiva il giornaletto Anno Zero fuori dai licei dei rossi, per poi pestarli insieme ai camerati. Ma vantava anche letture e frequentazioni kremmertziane, frequentazioni massoniche, amicizie (Rita Stimamiglio, Beppe Fisanotti, Paolo Marchetti) in comune con i Nar Gilberto Cavallini e Giusva Fioravanti.

    Non è un'indagine semplice, quella su "Tomaten". Intanto è diventato cittadino svizzero e ha cambiato nome in Franco Müller, prendendo il cognome dell'ex moglie Silvia. Poi sfida gli inquirenti, non si presenta agli interrogatori, fa sapere di avere coperture tra i carabinieri ed in effetti, rovistando nei suoi fascicoli, i militari del Ros trovano parecchie anomalie. Non è facile nemmeno farsi strada in quell'ambiente. Gli ordinovisti di un tempo tacciono. O sono all'estero, come Roberto Zorzi, che ha portato la famiglia a Snohomish, nei pressi di Seattle, fa il predicatore e alleva dobermann da competizione nel "Kennel del Littorio". Nomen omen. Oppure muoiono. Scompare Stefano Romanelli, il "camerata Toba", sul punto di diventare gola profonda. Si spegne, il 31 maggio 2012, Roberto Besutti. E l'accertamento principale, la verifica dei registri scolastici per il 28 maggio 1974, dice che Marco Toffaloni, quella mattina, era in classe. Non si sa se tutto il giorno, soltanto alla prima ora o l'ultima. Ma era al suo banco in 3ª B. Anche Spiazzi, interrogato dai magistrati, nega di aver mai confidato alcunché a Stimamiglio, gli accertamenti si disperdono in mille rivoli senza nessun vero sbocco e, alla fine del 2013, il procuratore dei minori Emma Avezzù ("Tomaten" era sedicenne, il giorno della strage) si convince a chiedere decreto d'archiviazione. Non si arrende il pm Francesco Piantoni, in Procura ordinaria, ma il suo fascicolo ora è a carico di ignoti.

    C'era, però, ancora un segreto da esplorare su Marco Toffaloni. Un vecchio commissario in pensione, Giordano Fainelli, racconta al colonnello Giraudo di come, all'Ufficio Politico e al Nucleo Antiterrorismo di Verona, le indagini sui neofascisti avessero parecchi buchi. Pensi, spiega l'ex poliziotto all'ufficiale dei Ros, che una volta perquisimmo la cantina di "Tomaten" e trovammo un deposito di esplosivo. Forse anche quello usato in piazza della Loggia. Ma quel materiale, e quel verbale, sparirono. Ed in effetti Giraudo e l'ispettore Michele Cacioppo, investigatore di punta della Dcpp del Viminale, non trovano nulla in nessun archivio. La ricerca diventa empirica. Anagrafica. Trovare i vicini di casa dell'epoca del ragazzo. Sollecitare la loro memoria. Finché i carabinieri non ne trovano uno che parla. Che sa, o almeno, ricorda: "Non oltre il 1978 mio padre mi disse che Marco Toffaloni era coinvolto nella strage di Piazza della Loggia, la notizia la ebbe dai genitori di Marco con i quali era in ottimi rapporti". È un nuovo filo, da seguire. Il testimone indica due amici di "Tomaten", due frequentatori di quella cantina. Uno, Nicola Guarino, viene convocato in caserma e colto con la guardia abbassata. Parla di una riunione dell'inizio del '74 con Toffaloni, imberbe ma già assai critico con le nuove leve di Ordine Nuovo, troppo morbide per i suoi gusti. Per la rivoluzione, diceva, bisognava fare qualcos'altro.

    Bisognerebbe, aggiunge Guarino - che dopo quel verbale farà marcia indietro e non collaborerà più - cercare gli altri partecipanti di quella riunione. E gioverebbe, aggiunge l'ex camerata Umberto Zamboni, cercare i proprietari di due vecchie auto, segnalate nelle prime indagini bresciane: una Bmw grigia e una Citroen Dyane celestina, entrambe targate VR. Ne aveva parlato, all'epoca, Ermanno Buzzi, il sedicente "conte di Blanchery", ambiguo ladro d'arte con le SS tatuate su una mano e agganci ovunque, anche in tribunale. Il primo processo aveva puntato su di lui e la sua corte, in primo grado nel 1979 Buzzi aveva preso l'ergastolo ma non arrivò mai all'appello, strangolato in carcere da Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. Tutte le sentenze successive oscilleranno tra il "cadavere da assolvere" e il ruolo operativo nella strage. Gli inquirenti vanno a ripescare tutti i protagonisti del procedimento originario. Si imbattono in "Alfa", personaggio vicinissimo a Silvio Ferrari, testimone diretto della cena alla pizzeria Ariston, la sera del 18 maggio 1974, tra Silvio e il suo omonimo Nando Ferrari, neofascista veronese che lo convinse a commettere l'attentato, dopo aver festeggiato tutta la notte con amici in una villa sul lago. "Alfa" parla. E rivela uno scenario sconcertante.

    I protagonisti


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    L'appartamentino

    Spiega che Silvio Ferrari, negli ultimi mesi della sua vita, lo portava in un monolocale mansardato nel centro di Brescia, in una strada a fondo cieco. Via Aleardi. Qui, nel bagno, il ragazzo aveva una camera oscura. Sviluppava foto. E poi riceveva, alternativamente, i carabinieri in borghese mandati dall'allora capitano Delfino, comandante del Nucleo investigativo, o il vicequestore Lamanna dell'Ufficio Politico. Consegnava le buste con le foto sviluppate e intascava soldi. Tanti. E da troppe mani. Un'attività clandestina da informatore che era rimasta un segreto per quarant'anni. Del resto, di quell'appartamentino, avevano già parlato in passato il neofascista bolognese Luigi Falica e lo stesso Umberto Zamboni. Alfa dice ancora che alla famosa cena del 18 maggio, c'erano anche tre veronesi arrivati sulla celebre Dyane celestina. Che uno era un marcantonio, e la terza una ragazza. Che Silvio Ferrari, inoltre, conosceva bene Maurizio Tramonte, la fonte "Tritone". Il materiale per far lievitare l'indagine c'è. Anche perché i carabinieri del Reparto Operativo di Verona, incaricati di analizzare le foto in bianco e nero della strage scattate in presa diretta dal reporter Silvano Cinelli, fanno una scoperta sorprendente. Tra i volti immortalati a fissare i cadaveri, ce n'è uno giovanissimo. Con una stupefacente somiglianza con un'antica segnaletica di Marco Toffaloni. Il consulente antropometrico Tommaso Capasso conferma. Ma, nel frattempo, le rivelazioni di "Alfa" proseguono. Dice che, tra le foto messe in busta nel monolocale, ce n'erano alcuni di paracadutisti in esercitazione a Pian del Voglio. E una sequenza che riprendeva il capitano Delfino in persona e, di spalle, Nando Ferrari. Che quegli scatti, sviluppati da Silvio, provenivano dall'interno di una caserma e li aveva richiesti lo stesso Delfino, frequentatore dell'appartamentino.

    "Alfa" ha paura delle conseguenze di queste rivelazioni, spiega di essere stato già minacciato di morte in passato perché quel segreto doveva rimanere tale. Ma non smette di parlare, e il colonnello Giraudo di annotare: "Era ben chiaro che Delfino intendeva che aveva fatto ammazzare Silvio Ferrari, ma egli lo diceva anche come se sapesse perfettamente che io sapevo che era andata così". L'accusa al generale, nel frattempo assolto in Tribunale e scomparso, è terribile. "Alfa" non risparmia nemmeno il fu Silvio Ferrari:

    Il romanzo si arricchisce di paragrafi inquietanti. "Tomaten", dalla Svizzera, percepisce vibrazioni sfavorevoli. In una conversazione (intercettata) con le sorelle appena interrogate, le mette in guardia: "Dovete andare assolutamente da un avvocato per non farmi dei danni - incalza - perché mi state facendo dei danni assurdi, inconsapevolmente. Loro hanno degli intrighi". Ma non è l'unico nel mirino, l'uomo che si faceva chiamare "Acastasi" ai tempi delle Ronde Pirogene. Il 4 febbraio 2015 Umberto Zamboni fa un'altra rivelazione dirompente: "Mi sento oggi di dire che all'epoca, a me, così come ad altri di Ordine Nuovo, era noto che la strage di Piazza della Loggia aveva visto la partecipazione di veronesi. Posso specificare più di uno. Mi sento ancora di aggiungere che uno dei nomi che mi venne fatto quale veronese coinvolto nella strage di Brescia è Roberto Zorzi".

    Il marcantonio

    Figlio di un marmista, corpaccione robusto (Alfa lo riconoscerà come il marcantonio della famosa cena), capelli biondi corti e baffetti alla Hitler, Zorzi aveva vent'anni all'epoca della strage. Era tra gli ordinovisti più duri all'ombra dell'Arena e del Bentegodi, frequentandone già allora la curva con i suoi camerati. Durante la campagna per il referendum sul divorzio affiggeva i manifesti dei Guerriglieri di Cristo Re, sigla oltranzista di importazione franchista. Lo chiamavano il "pirata", spavaldo com'era, ma anche "la fleur", perché aveva lavorato presso un fiorista. E di fiori, il ragazzo, si era occupato anche il giorno dei funerali di Silvio Ferrari: un cuscino, con l'ascia bipenne e il nastro in raso firmato "I camerati di Anno Zero", che la delegazione veronese aveva portato a Brescia il 21 maggio 1974. Erano in tanti, quel giorno, a braccio teso al cimitero a fare il presente. Messaggi minatori, che gridavano vendetta per il giovane saltato in aria sulla Vespa, cominciavano già a circolare.

    Quel pomeriggio, con piazza del Mercato presidiata dagli extraparlamentari di sinistra, i neofascisti andarono a cercare, e trovare lo scontro. Cinque di loro, tutti veronesi, vennero arrestati perché trovati in possesso di una pistola e una piccozza: Nicola Guarino, Alberto Romanelli (cugino di "Toba"), Arianno Avogaro, Nico De Filippi Venezia e Franco Francescon. Zorzi no, era riuscito a svignarsela in tempo sulla Seicento di Umberto Zamboni, all'epoca in carcere. Ma la sua targa era stata annotata. E il capitano Delfino, il pomeriggio stesso della strage, aveva diramato un telex urgente ai carabinieri di Verona, che avevano rintracciato Zorzi a casa della fidanzata e lo avevano portato via con una coperta sui polsi, a coprire le manette. Fermato per strage, in caserma, mentre i sottufficiali inviati da Brescia ne controllavano l'alibi. Disse, "il pirata", di aver passato la mattinata a Porta San Giorgio, al bar di fronte alla fermata delle filovie. Lì a bighellonare e chiacchierare, dalle 8 alle 11. E poi, nel pomeriggio, insieme a "Toba" Romanelli. Gli accertamenti si erano limitati a un controllo al bar. E il capitano Delfino aveva preso per buono il presunto alibi fornito dalla figlia del barista, che ricordava Zorzi a chiacchierare con un rappresentante di commercio ("Certo Galvani Massimo") e un ragazzo barbuto ("certo Claudio Antolini").
    Nessuno di loro era stato interrogato, nessuna foto era stata mostrata, eppure "La signorina Daniela era certissima, ed è apparsa sincera ed attendibile nonché disinteressata, della presenza dello Zorzi sino ad oltre le ore 10 del mattino del 28 maggio". La notizia del fermo di un certo Roberto Z. era finita sul Corriere della Sera del 30 maggio a firma di un inviato specialissimo come Giorgio Zicari, che di lì a qualche giorno sarebbe stato travolto dallo scandalo della sua collaborazione con i Servizi - un Renato Farina ante litteram - nell'affaire del Mar di Fumagalli. Di Zorzi, invece, non si era saputo più nulla. Certo, l'etichetta di estremista negli anni gli aveva procurato qualche noia, facendolo controllare o perquisire dopo l'omicidio di Vittorio Occorsio (1976), la strage di Bologna (1980) e quella al Rapido 904 del Natale 1984. Ma aveva potuto candidarsi (non eletto) alle comunali di Verona dell'80 nelle liste del Msi, vivere la sua svolta mistica, laurearsi in Teologia a Trento, portare la famiglia negli Usa e aprire quell'allevamento intitolato al fascio e dedicato alla "Regina Pacis", la madonna. Lontano dalle accuse dell'ex camerata Zamboni: "Stefano Romanelli mi disse che lo Zorzi aveva fatto il botto, con ciò intendendo il nostro Zorzi, cioè il Roberto, si accesero i suoi occhi quando me lo disse".

    Le caserme

    Indagini insabbiate, sottufficiali che girano la testa dall'altra parte. Il cliché è noto. I nuovi accertamenti sull'alibi di Zorzi rivelano plasticamente il depistaggio. La "signorina Daniela" citata nel rapporto Delfino viene rintracciata a distanza di 41 anni. Si scopre che all'epoca era una ragazzetta di 16 anni che dava una mano al padre. Non solo non ricorda il biondino coi baffi alla maniera del Führer, ma nemmeno i carabinieri. Ha solo un vago flash, talmente etereo da collocarlo all'epoca della bomba alla stazione di Bologna: due signori in borghese che entrano, fanno un paio di domande al padre e quest'ultimo che gliele rivolge. Non ha idea di chi siano Galvani e Antolini. Tocca al Ros rintracciarli. Il primo abitava vicino a Zorzi, sa chi è, faceva il marmista e ne conosceva il padre, ma la mattina della strage non lo ha mai incrociato. Claudio Antolini, invece, è imparentato con il marcantonio, avendo sposato Maria che è cugina di Paola Crescini in Zorzi. Lo ricorda, quel fermo, non certo quell'incontro al bar. Anzi, la signora Maria aggiunge che in quella fine di maggio del 1974 nel cortile di casa, seminascosta da una siepe, sostava una Dyane celestina. Le ricerche riescono a risalire al proprietario: Elio Massagrande, il vecchio leader di Ordine Nuovo a Verona, che per sfuggire agli arresti era scappato in Grecia e aveva lasciato le chiavi della "due cavalli" ai suoi adepti. Molte tessere cominciano a incastrarsi. Zamboni, che morirà nell'ottobre 2015 lasciando le sue rivelazioni a metà, riesce ancora ad aggiungere una cosa: correva, tra i neri di On, l'idea di commettere stragi indiscriminate, di fare i morti per scuotere il Paese ed invocare il governo forte. Il regime. Qualche neonazista si era tirato indietro, altri ci stavano


    N.B. Questo pezzo lo sto scrivendo io, ascoltando il podcast per abbonati, perché evidentemente nella versione stampata si è deciso di non lasciarlo, per cui con ogni probabilità è particolarmente rilevante, sentiamo: (ndr)


    Perché poche o pochissime persone possono fare quasi tutto, ma se io parcellizzo, cioè specializzo al massimo, uno partecipa per un piccolo contributo e se venisse preso e parlasse potrebbe al massimo raccontare il suo compito.

    (evidentemente La Repubblica non vuole che il suo lettore comprenda il concetto di COMPARTIMENTAZIONE)

    Naturalmente, dice, in quel giro "se si entrava, non si usciva". Già, ma dove era nata quell'idea? Bisogna seguire Alfa, e il filo dei suoi verbali. Dei suoi diari di viaggio postumi, accanto a Silvio Ferrari. Quelle foto scattate a Delfino non erano state fatte a Brescia, spiega. Ma a Verona. Insieme, il ragazzo destinato a morire e il supertestimone erano andati più volte. In una caserma dei carabinieri affacciata su un fiume, con una grande sala nello scantinato dove si tenevano delle riunioni. I Ros riportano Alfa in quei luoghi, sperando in un effetto rabdomante. Il "bastone" ne indica tre. La caserma dei carabinieri di Parona Valpolicella, sul Lungadige alla periferia nord di Verona, con una sala nello scantinato e un accesso posteriore proprio come scritto a verbale. Ma poi, passando davanti a un anonimo palazzo di via Montanari, Alfa si blocca: "Qui ci siamo stati con Silvio". Ed è un'indicazione pazzesca perché in quell'edificio di proprietà dell'Inps, all'ultimo piano, il Sid aveva insediato per trent'anni la segretissima sede del Centro di controspionaggio. Infine il sopralluogo si dirige verso via Roma. "Ecco, in quel palazzo siamo entrati. Ma non dal portone: da quell'accesso con la sbarra, che porta in cortile". È l'entrata secondaria, riservata agli inquilini del condominio adiacente, di Palazzo Carli, la sede del Comando Ftase. La Nato.

    Gli attentati

    "Lì, prima di entrare, Silvio era atteso un ragazzo che già avevamo visto nella caserma del seminterrato". Sull'album fotografico, il dito si ferma al volto numero 6. "Questo qui, una persona tremenda e molto determinata, l'avevo fuori già all'esterno della pizzeria Ariston a incontrarsi con gli altri veronesi e con Silvio, sarà stata una settimana prima della sua morte". È Marco Toffaloni. E quella riunione fu parecchio animata, si parlava di esplosivo, secondo il supertestimone, roba "che non era più possibile prendere da una certa caserma di Verona e che lo deve prelevare dalla caserma Papa di Via Volturno a Brescia". Di un attentato, da commettere la sera del 18 maggio in una delle prime discoteche gay di Brescia, il Blue Note. Ed in effetti, nella scia di attentati che precedettero piazza della Loggia, quello fu un episodio anomalo: due telefonate anonime, entrambe effettuate da Ermanno Buzzi alla Polstrada e alla Guardia di Finanza, innescarono un rapido e vistoso controllo che tenne alla larga i bombaroli. Buzzi frequentava il Blue Note e non voleva guai ai suoi amici e ai poliziotti che lo frequentavano, di cui era confidente. Secondo Alfa, il piano proveniva dalla caserma veronese: "Alle riunioni di Parona fu detto che in realtà l'obiettivo non era il locale, ma il proprietario dello stesso", e cioè Marco Bruschi, "perché un funzionario della Questura andava", e cioè Vincenzo Via, il capo dell'Ufficio Politico. Un progetto incredibile. Forse inverosimile. Come la promessa che era stata fatta a Ferrari: dopo il botto sarebbe stato trasferito a Milano, dove aveva agganci con i neri della Fenice, gli sarebbe stato trovato un appartamento vicino al Tribunale dove organizzare una nuova azione e avrebbe lavorato sotto copertura.

    Ne ha dato indiretta conferma il generale Domenico Sevi, all'epoca in servizio al controspionaggio e convocato un giorno nella caserma dei carabinieri di via Moscova dall'allora capitano Umberto Bonaventura: stavano preparando, gli disse, l'arrivo del neofascista bresciano a Milano. Solo che, all'ultimo minuto e timoroso di una trappola, Silvio Ferrari avrebbe fatto di tutto per tirarsi indietro e sparire dalla circolazione, magari con un nuovo lavoro a Verona che avrebbe sopperito l'impiego nella concessionaria auto dei genitori. E portandosi dietro le foto più compromettenti, quelle delle riunioni pre-stragiste, come garanzia. Vero? Falso? Nel frattempo, il supertestimone aggiunge nuove pennellate al suo affresco. Ripesca dalla memoria un'altra riunione con i veronesi, nella settimana tra il 21 e il 28. Con Toffaloni, (anche questo pezzo lo sto trascrivendo a mano dal podcast perché manca nella versione in cui avevo trovato il testo. ndr) assicura, vi era il marcantonio, Roberto Zorzi, che si sarebbe occupato della vendetta, per la morte del Silvio

    (curiosissimi questi omissis. come in George Orwell gli articoli del giornale cambiano nel tempo. NDR)

    E poi svela i nomi mancanti alla riunione preparatoria, quella col discorso concitato sull'esplosivo che non si trovava. Uno è Paolo Siliotti, un neofascista scomparso nel 1980 in un incidente di moto, ricco di famiglia e frequentatore dei giri giusti, compresi quelli del calcio: Pierluigi Busatta e Sergio Vriz, mediano e fantasista del Verona degli anni Settanta, erano spesso nella sua villa di famiglia. Ora - in uno dei passaggi più paradossali dell'intera indagine - si ritrovano interrogati in un procedimento per strage, alla ricerca (vana) di ricordi e collegamenti con un ambiente, quello ordinovista, che all'epoca avevano solo e inconsapevolmente sfiorato. L'altra partecipante alle riunioni sui locali da far saltare sarebbe stata, a dire di Alfa, la ragazza più bella e corteggiata di Verona, Anna Rita Terrabuio,
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    che ebbe un breve momento di celebrità proprio in quegli anni, quando fece perdere la testa a Fabio Testi che per lei lasciò nientemeno che Ursula Andress. A 42 anni dalle copertine dei rotocalchi, è in grado di riconoscere in foto "Tomaten". La spruzzata di gossip non dà però sbocchi perché tutti i compagni e le amiche di Terrabuio, compreso Testi interrogato tra un'Isola dei Famosi e un'ospitata, negano che da liceale avesse un qualsiasi interesse politico, men che meno eversivo. La diretta interessata, a verbale, non può che ribadirlo.

    Gli ufficiali

    La digressione rosa, innescata dalla superteste, porta fino al controllo di un'agenda del defunto Spiazzi su cui, alla data del 4 agosto 1980 (due giorni dopo la bomba di Bologna) il cognome Terrabuio era annotato accanto a quello di Zorzi. Non si sa, però, a che titolo. Altro, però, è per gli investigatori il cuore del problema. Cioè credere alla sconvolgente ipotesi che ufficiali che avevano giurato sulla Costituzione potessero farsi complici e strateghi di un piano assassino, oltre che golpista. Anche perché i nomi che riempiono i faldoni dell'indagine, quelli dei presunti partecipanti a quelle riunioni di Parona e poi di Palazzo Carli, sono pesantissimi. C'è il già citato Delfino, ufficiale dalla carriera fulminante ma eternamente macchiata da due ombre, entrambe bresciane: piazza della Loggia e il sequestro dell'industriale Giuseppe Soffiantini, che gli procurò una condanna per truffa aggravata. C'è Angelo Pignatelli, all'epoca titolare del Centro Cs Verona e ufficiale che godeva della massima fiducia del generale Gianadelio Maletti, l'allora capo del controspionaggio che finirà condannato per i depistaggi su piazza Fontana e morirà latitante a Johannesburg. Una ricerca documentale su Pignatelli (grossa parte delle 280mila pagine del colossale incarto proviene da archivi di Aise, Aisi, comandi dell'Arma e Stato Maggiore di Esercito e Aeronautica) ha fatto riesumare un documento sugoso: il 28 maggio 1974, il giorno della strage, Pignatelli - che Silvio Ferrari chiamava semplicemente "Angelo", secondo i racconti di Alfa - era in Germania Ovest in ragione del suo fluente tedesco, a organizzare, insieme ai colleghi del Bka, la missione del Sid in Germania Ovest per scortare, con sei spie, la Nazionale di Valcareggi ai Mondiali di calcio, due anni dopo la strage di Settembre nero alle Olimpiadi di Monaco. Torneranno sani e salvi ma coperti di "azzurro tenebra", Facchetti e compagni.

    Infine, tra le foto associate a Parona e Palazzo Carli, c'è quella di un giovane Mario Mori, altro ufficiale "dannato" della stagione delle stragi. Su di lui, il colonnello Giraudo indagava già per conto della procura di Palermo, all'interno del processo sulla trattativa. E i documenti d'archivio legano Mori a Brescia, ma alla lontana, in due diversi modi. L'ufficiale, all'alba di una carriera che lo avrebbe portato al vertice del Ros e del Sisde, era giovane tenente a Villafranca Veronese e bazzicava l'ambiente Ftase. Inoltre, era presente a Pian del Rascino subito dopo la morte di Giancarlo Esposti, e qui va aperto un altro cassetto di questa infinita vicenda: Esposti, neonazista sanbabilino, trafficante d'armi e fonte del controspionaggio milanese, era in tenda insieme a tre camerati sulle alture del reatino la notte del 30 maggio 1974, a 48 ore dall'eccidio bresciano. Ufficialmente latitante, lucidava i mitra in attesa di un colpo di Stato. Arrivarono i carabinieri, invece, e cadde nel conflitto a fuoco, e da allora i sospetti che lo legano a piazza della Loggia non si sono mai diradati del tutto. Mori, si diceva, a metà del '74 era ufficiale del Sid al Raggruppamento Centri di Roma, nella branca che si occupava di reclutare i defezionisti dalla Bulgaria comunista, e assorbirne le informazioni. Esposti, in tasca, aveva nomi e indirizzi di un paio di questi. Roba da agenti sotto copertura, da far sparire in fretta. Così come andavano coperte e ingoiate, secondo i racconti di Alfa, le possibili allusioni alle riunioni di Parona e alle foto, oggetto di avvertimenti e minacce fin dai giorni dopo la strage. In uniforme, e particolarmente energici, sarebbero stati quelli di Delfino. Morbidi, e in borghese, quelli di Mori.


    Palazzo Carli

    Oggi è di nuovo appannaggio dell'Esercito italiano ma quell'insediamento Nato, in piena guerra fredda, era il più grosso centro di potere militare sul nostro territorio, insieme a quello di Napoli. Gli ufficiali che ne popolavano gli uffici erano per la maggior parte italiani, ma non solo. Ogni addetto vivente, e sono decine, è stato scovato dagli investigatori ed ha dovuto rispondere a domande sull'ipotesi di un centro occulto di stragismo. Nessuno, ovviamente, ha confermato l'indicibile passaggio di alcuni ragazzini con velleità al tritolo. Ragazzi, però, con ricordi nitidi, se è vero che Alfa ha saputo riconoscere i portici interni e la scala in fondo a sinistra nel portico, che portava direttamente agli appartamenti privati del comandante. O indicare la presenza di un ufficiale con il basco amaranto, quello dell'Aeronautica, e all'epoca esisteva davvero l'ufficiale di collegamento Oscar Santoli. O ancora parlare di "Eva", la spia polacca Anka Dirani, e indicarla come amante dell'allora colonnello Lucio Innecco, ufficiale chiacchieratissimo - il Sid, tramite Pignatelli, lo pedinerà per mesi sospettandolo di simpatie comuniste e di intese col nemico, senza però trovare riscontri - e amico delle famiglie Siliotti e Terrabuio. L'ordinovista Claudio Lodi lo ricorda frequentatore delle stesse palestre di arti marziali dove si addestravano i camerati. Perfino l'ex calciatore Vriz ricorderà Palazzo Carli tra i luoghi frequentati dal suo amico Paolo Siliotti. Tracce, parziali ma solide, della frequentazione di Delfino al comando risalgono a una sua partecipazione dietro invito al ricevimento dopo la liberazione del generale James Lee Dozier, sequestrato dalle Br a fine 1981 e liberato due mesi dopo.

    (altro pezzo mancante nello scritto e non nel podcast: NDR) Silvio parcheggiava all'interno e veniva ricevuto dal CAP. Delfino in uniforme nera, riferisce ancora Alfa, e c'erano anche altri militari, in un uniforme color carta da zucchero un azzurro verso il blu. Io non li seguivo mai, rimanevo vicino alla motoretta, e poi Delfino lo riaccompagnavo, talvolta proprio fino alla motoretta, talvolta fermandomi al centro del cortile.


    E c'è un riscontro interno, l'ex capitano Massimiliano Rossin, che ha confermato agli investigatori i plurimi passaggi non registrati di Delfino e Pignatelli nel quartier generale. È sufficiente? Possibile? Credibile? Vero? L'ultima fase dell'indagine, non a caso etichettata "Deep State", con quel sistematico carotaggio dei fondali della Repubblica alla ricerca di inconfessabili collusioni, ha trovato qualche porta chiusa. Carabinieri che indagano su carabinieri, e sulle altre Armi, lo Stato che interroga sé stesso e mette a processo propri pezzi, bollandoli come deviati, magistrati che aprono armadi riservati, in un cortocircuito di ipotesi, sospetti e bivi tra verità indicibili (se tutto l'impianto venisse dimostrato) e schizzi di fango indesiderati anche per l'alleato. Bertram Gorwitz, nome di battaglia "Igor", era all'epoca l'ufficiale più in vista, la mente grigia del comando Ftase. Era anche il punto di riferimento del colonnello Innecco, ed è ovvio che qualsiasi piano elaborato a Palazzo Carli dovesse passare da lui. La scaletta in fondo al portico indicata da Alfa conduceva al suo cospetto. È stato riconosciuto in foto. Il generale non può rispondere, però: riposa dal 1997 ad Arlington.

    Gli assenti

    Non hanno risposto finora, né Marco Toffaloni né Roberto Zorzi. Del secondo, tra le carte, si trova traccia di una fugace telefonata via Whatsapp al colonnello Giraudo, con toni di scherno e vaghe promesse mai onorate di rientro in Italia per mettersi a disposizione dei magistrati. Sul suo conto gli investigatori sono riusciti a collezionare altre significative testimonianze, quelle di Ferdinando Trappa, uomo che trafficava in quadri rubati insieme ad Ermanno Buzzi. E che giura di aver assistito ad un incontro tra i due, a un distributore notturno di benzina, poco prima della strage. C'è, poi, un ulteriore tassello alle descrizioni fatte da Alfa, un recente vivido dettaglio sulla riunione dopo la morte di Silvio Ferrari: "Quello che non ha fatto lui dobbiamo farlo noi. Questa frase fu pronunziata dal Roberto Zorzi e me lo ricordo come il personaggio carismatico al tavolo". Di "Tomaten", gli inquirenti hanno potuto stabilire la militanza strettamente legata a quella del "pirata" fin dall'inizio del 1974, a distribuire i giornalini di Anno Zero o a fare propaganda antidivorzista per i Guerriglieri di Cristo Re. La foto e i rilievi antropometrici sono riscontri solidi. La sua carriera da attentatore un punto a favore di chi lo accusa. E poi ci sono le recentissime aggiunge del supertestimone, verbalizzate dal pm Caty Bressanelli e dal procuratore aggiunto Silvio Bonfigli. "Alla fine Silvio evidentemente si lascia convincere anche perché pensava magari di cambiare vita, di andare a Milano. La sera prima della morte ricordo Nando (Ferrari, ndr), Arturo Gussago e Silvio e dall'altra parte Siliotti Zorzi e Toffaloni".

    Già, Gussago, che negli anni Settanta patì l'infamia del carcere preventivo e delle accuse poi sbriciolate a processo insieme ad Andrea Arcai, figlio del magistrato Giovanni, e a Mauro Ferrari, il fratello minore di Silvio, il proprietario della Vespa saltata in aria, accusato di volersi vendicare col tritolo. Anzi, col Vitezit, lo stesso esplosivo usato con ogni probabilità in piazza Fontana: un candelotto venne trovato al ragazzo in cantina, probabilmente messo apposta da chi lo voleva incastrare con una perquisizione ad arte. Gussago, si diceva: "Era una brava persona, non mi ha mai detto che voleva ammazzare Silvio o fare una strage, lui ha sempre voluto rimanere nell'ombra ma c'era", giura Alfa. E adesso che è morto così tragicamente, appena chiuse le indagini su Zorzi e Toffaloni, bisogna davvero parlarne al passato, e aggiungerlo all'elenco di chi non potrà difendersi. Proprio per questo sarà bene condividere la prudenza di Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria, che con i legali di parte civile sta leggendo in questi giorni le carte: "Siamo in una fase molto delicata, soprattutto per i testimoni che hanno parlato e dovranno parlare. Stiamo approfondendo con gli avvocati, sappiamo che l'indagine si è svolta in continuità con l'ultimo processo. Speriamo si prosegua in quella direzione". Quella dei colpevoli accertati. L'unico modo per far pace con quel passato. Qualunque sia la verità.

    L'oscena tutela dell'impunità

    di Benedetta Tobagi



    “L’indagine si è svolta in continuità con l’ultimo processo”, ha detto Manlio Milani, sopravvissuto alla strage di Brescia e rappresentante dei famigliari. E in effetti, come in un tragico puzzle, molte tessere della nuova indagine s’incastrano a pennello nel quadro dei fatti già accertati in sede giudiziaria. La centralità di Verona e dei neonazisti di Ordine Nuovo, per esempio, collima con la ricostruzione secondo cui l’ordigno di piazza Loggia era passato dall’appartamento - nonché santabarbara – del defunto Marcello Soffiati, figura di riferimento di Ordine Nuovo nel veronese, sito nella centralissima via Stella (non lontano dal romantico balcone della Giulietta shakespeariana). Soffiati, guarda caso, risultava essere legato ai golpisti della Rosa dei venti, oltre a essere in contatto con gli americani e avere libero accesso alle loro basi.

    Secondo il supertestimone, ci sarebbe il defunto generale dei Carabinieri Francesco Delfino dietro la morte del camerata Silvio Ferrari, provocata da un ordigno che questi portava sul pianale del motorino la notte del 19 maggio ‘74 - l’ultimo degli episodi dell’escalation di violenza fascista contro cui era stata convocata la manifestazione del 28. Sembra che Ferrari fosse un informatore (come lo era, peraltro, il condannato per strage Maurizio Tramonte-“Tritone”) divenuto “scomodo”.

    Sempre Delfino avrebbe convalidato, con troppa leggerezza, l’alibi di uno dei nuovi indagati, Roberto Zorzi (nessuna parentela con l’ordinovista Delfo né con il magistrato Gianpaolo, che ha svolto la quarta istruttoria sulla strage). Le sentenze già passate in giudicato, pur assolvendo Delfino dall’accusa di concorso in strage, hanno però sottolineato come, in qualità di capitano del nucleo investigativo dell’Arma, egli abbia compiuto “plurimi atti abusivi” nel corso della prima inchiesta sul massacro, che non a caso pascolò lontanissimo dagli ordinovisti risultati poi responsabili. Nel 1978, quando si apre il processo basato sulle sue indagini (destinato a concludersi con un sostanziale nulla di fatto), Delfino è già entrato al Sismi, il servizio segreto militare dell’epoca.

    Come agente segreto, Delfino ha il nulla osta “Cosmic”, che garantisce l’accesso ai massimi livelli di segretezza Nato (al pari, per esempio, di Amos Spiazzi), e si muove tra Washington, il comando Shape di Bruxelles (quartier generale delle potenze alleate in Europa) e il delicato teatro strategico del Mediterraneo. Si è indagato a lungo per capire se fosse lui l’ufficiale golpista che si nascondeva dietro il nome in codice “Palinuro”; il Delfino si è sempre difeso sostenendo che quello fosse il nome in codice di un suo collega dell’Arma, Giancarlo D’Ovidio. Nessuna sorpresa, dunque, se risultasse confermato che bazzicava gli uffici veronesi della Nato.

    Le nuove indagini, poi, tirano in ballo a più riprese il Sid (poi Sismi) e uno stretto collaboratore del defunto generale Maletti, un’altra amara conferma. L’ultimo processo, infatti, ha ricostruito con precisione il clamoroso depistaggio da lui compiuto: pur avendo a disposizione una serie di note informative attendibili, che puntavano dritto verso Maggi e gli ordinovisti, dettagliandone i progetti stragisti, quando fu convocato dagli inquirenti nell’agosto ’74, Maletti disse di non avere in mano nulla, e suggerì di indagare su un gruppo già smantellato. I protagonisti di alto livello, come vedete, sono tutti morti. Hanno funzionato proprio bene, i meccanismi osceni a tutela dell’impunità.




    Schermata_2022-01-27_alle_15

    noi un'idea di quale sia la verità l'avevamo da tempo

    Edited by dedobiker - 21/12/2022, 11:46
  6. .
    Schermata_2022-01-27_alle_14
  7. .
    Grazie ragazzi.
    Apprezzo molto i vostri suggerimenti.
    Più materiale abbiamo più ricco e fruibile sarà, soprattutto dallo spettatore medio un po’ ignaro di tutto, ma penso che questo sia un primo punto fermo.
    Spataro occlude le nuove piste, per antitesi Salviniana, per ego, per quel che si vuole, ma era importante dire a tutti quelli che ti danno di “gomblottista” che lo scenario non è plausibile, ma storicamente accertato e processualmente motivato.

    Hanno “congelato” le altre piste ed “è sicuramente grave, io sono andato due volte a lamentarmi con l’ispettore capo perché stavano uscendo cose importanti e la collaborazione della procura della repubblica era praticamente nulla.”

    Credo questo possa essere messo agli atti con un bel “nun ce rompete” a tutti gli scettici denigratori di questa pista.

    Comunque questo è solo un rodaggio. Ora ci divertiamo e passiamo al contrattacco.

    La contro PsyOp.
    Come disse Martin McFly in ritrino al futuro 😂😂😂

    LA STORIA CAMBIERÀ

    Un doc ce l’abbiamo
    😂😂😂

    Comunque grazie raga, senza di voi non so se riuscirei a trovare la motivazione per spendere soldi ed energie. A presto
  8. .
    Come ho scritto in bacheca questa è la copia lavoro, senza tagli ne musica ne alcun montaggio particolare della mia intervista al Avv. Sinicato

    https://player.vimeo.com/external/56705236...=174&download=1

    Si poteva fare certamente meglio ma credo sinceramente sia importante averlo fatto.
    Purtroppo non sono Spielberg e non abbiamo molti soldi ma verrà un materiale abbastanza buono da essere piacevolmente ascoltato anche dai meno addentro alla vicenda.

    O, almeno, questa è la speranza.
    Per le vittime e la verità che può essere l’unica giustizia che possiamo dare loro
  9. .
    questa diretta l'avevo organizzata io, ma poi mi hanno buttato fuori dal gruppo, e l'hanno fatta loro. E Franceschetti, forse con più pacatezza, ha detto loro le stesse identiche cose :D :D :D :D

    “Parlai con Mignini mentre
    ero dalla Carlizzi, erano al telefono e me lo passò.
    Avevo appena scritto il mio primo articolo e da lì partirono tutta una serie di casini.
    Ero terrorizzato da quel che mi disse la Carlizzi e dal casino in cui mi ero ficcato: la Carlizzi mi disse che con quell’articolo avevo toccato dei tasti che non dovevi toccare, ti potrebbero denunciare o arrestare.
    Io rimasi shockato, perché dicevo una cosa banale, secondo me non avevo detto nulla di grave.
    In questo articolo mi limitavo ad analizzare le tecniche con cui erano stati uccise alcune vittime collaterali del mostro, circa una quarantina, dicendo una cosa BANALE e banale per chiunque non sia un idiota: non può un serial killer isolato fare tutto quel numero di morti collaterali.
    Per giunta con tecniche specifiche e ben riconoscibili per chi si occupa di SERVIZI, perché sono sempre le stesse, con cui vengono eliminati testimoni scomodi di processi etc.
    Quindi per me c’è lo stato dietro questi delitti, pezzi dello stato!”

    CVD
    🤷‍♂️

    È ovvio che il servizio segreto infiltri la massoneria perché si infiltra dove c’è potere e informazioni. Una storia come quella del mostro non la si può fare senza i servizi segreti, con un serial killer unico, perché è impossibile coprirlo. (...) quindi una cosa del genere può essere fatta solo da un gruppo organizzato.
    (...) organizzato e capace di depistare le indagini. Di mettere il telefono sotto controllo al Giuttari e al GIDES e qualcuno gli bucò le ruote dentro la questura (alla sua macchina di proprietà ndr)
    Ma chi è che può fare una cosa del genere? Pacciani? Vanni e Lotti?
    Non scherziamo, è un lavoro dei servizi.
    Non ci vuole un GENIO per capire che dietro ci sono i SERVIZI SEGRETI.

    Narducci non era solo un massone di una famiglia molto in vista massone ma era anche dei servizi.

    Bisogna quindi partire dalla LOGICA che una cosa del genere può essere effettuata SOLO da un GRUPPO ORGANIZZATO ED È UN GRUPPO CHE AFFONDA LE SUE RADICI NELLO STATO, di persone potenti.

    Possiamo discutere chi sia, chi vi sia implicato, ma chiunque ragioni sul SK unico o è in malafede o è un cretino, non ci sono altre possibilità.

    Se non è Vigna sarà un altro, ma deve essere uno potente e molto ben inserito.

    Andrea Vanni: Scopo.
    Scopo magico esoterico o strategia della tensione, a cui io non credo assolutamente?

    Guarda Andrea, ma non è che una escluda l’altra. Sono tutte compatibili.
    Perché? Voglio fare un esempio facile, troviamo una persona incaprettata con la lingua tagliata.
    Allora uno dice, perché l’hanno ucciso?
    E perché in quel modo?

    Per vari motivi.
    Primo motivo è eliminare uno che voleva parlare. E quello è il motivo più immediato.
    Perché in quel modo?

    Per SPAVENTARE e DARE UN MESSAGGIO ALLA LORO AUDIENCE, con un codice.

    Ci sono VARI motivi per cui si commette un omicidio.

    La stessa cosa vale per questi omicidi qua, anche se è un po’ più complicato.
    Ciascun livello della piramide HA UNA SUA MOTIVAZIONE.

    E spesso non è conosciuta dagli altri.
    Per libido o movente esoterico?
    Tutti e due.
    Sicuramente c’è una parte sadica, ma questo non esclude una motivazione esoterica, le due cose possono andare di pari passo, e a sua volta non esclude che QUALCUNO DALL’ALTO abbia delle motivazioni ancora altre, una sorta di strategia della tensione..
    Comunque il movente esoterico è quello più importante e magari non tutti lo sapevano: io non credo che Spezi e Vigna quando AMMAZZAVANO le persone avessero idea che stessero partecipando a un rito esoterico molto sofisticato.

    E ti faccio un esempio: la simbologia Dantesca”

    Spero che adesso si smetta di discutere tra noi, e che si passi ad una visione più inclusiva e sincretica della vicenda.
    Ndr.
    Con rispetto..






    CITAZIONE (dedobiker @ 16/5/2021, 14:13) 
    Tra un paio di giovedì avremo anche Franceschetti

    https://m.youtube.com/watch?v=f9cwW8MMiHM&...0QEqEkNqZP7yhdU
  10. .
    Anche io l’ho preso subito!!!
    Il coautore del prossimo libro dell’autore di cui prodest presenterà alle Murate il 2 agosto sera il loro nuovo libro scritto a 4 mani.


    Oggi voglio fare con voi un pensiero sui collaboratori di giustizia e disparità di trattamenti.

    IZZO VERSUS VIRGILLITO


    Continua il mio ragionamento “sincretico”.

    Prima di analizzare nel dettaglio se il test Virgillito diceva plausibilmente il vero, o il falso, vale davvero la pena fare una divagazione.

    Infatti se uno non conosce la storia delle procedure e del rapporto con i pentiti potrebbe non aver niente da obbiettare in quell’archiviazione di quel test così preciso e puntuale da cui si identifica una e una sola persona (JB) sulla quale però non vale la pena fare alcun accertamento “perché non risulta essere stata in Finlandia”, perché il test mente, e il PM che dovrebbe indagare ne é lui stesso il testimone, ma SOPRATTUTTO, è lievemente affetto da complesso edipico mal risolto.

    Fermiamoci un attimo qui e vediamo, per contestualizzare la situazione, come si comportano solitamente i magistrati quando hanno qualcuno che ha delle informazioni.

    Lo strano caso del neofascista killer e del suo amico procuratore che lo scarcerò

    ANGELO IZZO

    Bisognerebbe sempre parlare di Angelo Izzo, per capire come si muove, e in definitiva cosa è, la GIUSTIZIA in questa “nazione”.
    Cosa c’entra col mostro?
    Beh se non sappiamo chi era IL mostro possiamo affermare con assoluta certezza che Izzo era UN mostro.

    Un perfido assassino. La sua vittima Donatella è stata una grande eroina. Ha capito che l’unico modo per salvare se stessa e i suoi 44 kg di pesi era fingersi morta.
    Non è facile fingersi morti se uno ti prende a calci.
    Solo grazie a questa intuizione Izzo è stato colto in flagranza di reato.

    Un lettore naïf che crede bene che giudici e magistrati stiano lì a mettere in galera i cattivi avrà facile gioco nel pensare che vista la situazione e le prove schiaccianti contro Izzo questi sia stato schiaffato in un carcere durissimo per il resto della sua vita.
    Think again, dicono gli americani.
    Ripensaci.

    La storia di Izzo è la DIMOSTRAZIONE che la giustizia lo sia solo nominalmente, infatti la storiografia carceraria di Izzo è costellata di enormi puttanate riferite ai magistrati che gli credono, lo premiano, lo assolvono e addirittura lo scarcerano.

    Vogliamo fare dei nomi?
    Non ve ne è bisogno, sono sempre gli stessi.
    Falcone procede contro di lui e Vigna lo libera.

    Si faccia 2+2

    Divagazione nella divagazione: Falcone prima di morire è convinto che diventerà procuratore antimafia nazionale, ma qualcuno lo ferma a Capaci.
    Un altro magistrato, che molto meno ha avuto a che fare con fatti di Mafia, prenderà quel posto. Chi?

    Vigna ovviamente. Anche solo questo varrebbe una completa rilettura di tutta l’indagine sul mostro. Ma lasciamo, per il momento, stare.

    E bene, si fa per dire, sia Virgillito che Izzo riferiscono di avere informazioni sulla strage di Piazza Fontana.

    Ma Izzo non è assolutamente credibile, anche un bambino capisce bene che uno già condannato può dire qualunque cosa per farsi accorciare la pena.
    Per questo sono test poco credibili chiunque si accusi accusando altri (Lotti in primis, Lucas in secundis).

    Ha un interesse specifico troppo forte e sicuramente inquinato dalla prospettiva di una diversa storia carceraria.

    Virgillito invece ha tutto da perdere.
    Izzo nel 69 a Milano non c’è come non c’è Virgillito, entrambi comunicano le info de relato.
    Izzo racconta cose che avrebbe sentito in carcere, da carcerati, e diventa il perno delle accuse di Freda, che non vorrà mai neanche confrontarsi con quel che ritiene un criminale comune sideralmente distante dal suo ambiente di provenienza.

    Virgillito, da uomo libero, raccoglie la confessione di un uomo libero e a suo dire potente.
    Certo, vista la situazione che racconta, entrare nel programma testimoni poteva essere un suo interesse.
    Ma pensiamoci, non è proprio questo, oltre che le sue paranoie su “echelon” etc, a confermare la presumibile verità del suo racconto?
    Chi può essere tanto pazzo e scemo da inventarsi di sana pianta un’accusa ad uno totalmente estraneo solo per rifarsi i connotati ed essere spedito in un qualche paese di montagna a migliaia di km dai propri affetti, senza poterli mai più ricontattare?

    Non ha molto senso, ma questo lo vedremo nella disamina che seguirà capillarmente i vari punti con cui il PM Spataro riesce a sottrarre l’inchiesta a Giraudo un attimo prima che questi non solo individui JB, ma tramite eventuale riconoscimento e quindi testimonianza giurata riesca a inchiodarlo alle sue responsabilità.

    All’avvocato Sinicato, colui che rappresenta i parenti delle vittime di Piazza Fontana -ricordiamoci le UNICHE PERSONE CONDANNATE PER QUELLA STRAGE!- ho chiesto cosa pensi sia di Spataro, che di Virgillito che di Giraudo.
    Su una cosa non ci sono dubbi, per chi ha seguito anche solo marginalmente la storia di questo paese.
    Giraudo è, usando un termine hard boil “un bravo sbirro”.
    Questo è lapalissiano. Ma, come detto, ci dilungheremo più avanti sulla plausibilità della sua indagini e i suoi metodi, puntigliosi, che sono invece altro motivo per la sottrazione dell’inchiesta e conseguente mancata indagine sull’unica persona che poteva essere identificata: Joseph Bevilacqua nato a Totowa il 20-12-1935.


    Poi, bene dirlo subito, non si sarebbe comunque potuto procedere su JB, perché sarebbe arrivata un’informativa dalla presidenza del consiglio o uno dei molti organi che può notificare il sigillo del segreto di stato.
    Ma con un’inconveniente drammatico e paradossale.
    Si sarebbe dovuto, per legge, scrivere che era stato opposto il segreto di stato, svelandolo contemporaneamente.
    Ovviamente la cosa è inammissibile.
    La stessa cosa è accaduta, sempre allo stesso PM Spataro, sul caso di Abu Omar, su cui poi faremo un report una volta approfondito.

    Ma in questo caso, pensiamoci, se Spataro avesse scritto “il test Virgillito ha riferito di aver raccolto la confessione da un certo Joe, che diceva di essere della Cia, che abbiamo identificato nel JB, e che non possiamo indagare perché è arrivata un’informativa del sismi ci oppone il segreto di stato” chi avrebbe potuto non capire che Virgillito non stava che dicendo la verità, solo la verità è nient’altro che la verità, vostro onore?

    Per cui lo stesso PM deve TESTIMONIARE l’inattendibilità del test e inventarsi la storia del complesso edipico irrisolto. Che ovviamente non squalifica le informazioni ricevute e riportate. Io posso aver delle fantasie sessuali su madre ma se un assassino mi fa una confessione non posso riportarla puntualmente, nonostante questo complesso, peraltro come insegna Freud assolutamente comune se non addirittura universale?
    Ma che motivazione è?

    Altro esempio: Izzo. Uno che qualche turba sicuramente ce l’ha, sicuramente uccide e deve pagare, ogni volta che ha qualcosa da dire pendono dalle sue labbra.
    Permessi premio, carceri soft, pistole soldi e passaporti come se piovesse, e la perla in fondo, la scarcerazione che gli consente di trovare e uccidere un pentito.

    Grazie a Vigna (cit. Colasanti)

    A Virgillito dicevano “la procura non è un bar”.

    Questo per dare l’idea di pesi e misure.

    La storia di Izzo e come si è comportato Vigna ci dimostrano anche altri scenari di fondo, a livello deduttivo è semplice e quasi doveroso pensare che se Vigna si è comportato così con uno come Izzo avrà fatto lo stesso con il mostro, che avrà fatto i suoi errori ma non certo grossolani come quello del giovane Izzo.

    Se Izzo andava scarcerato il mostro andava NON individuato, quindi coperto, a costo di depistare, insabbiare, archiviare, produrre prove false (proiettile nell’orto) e inventandosi Cittadino Amico per dargli un alibi.

    Anche il mostro nella sua carriera ha lasciato qualche vittima viva.
    Ma ha avuto l’accortezza di non farsi riconoscere o di spaventare così tanto i testimoni che se ne sono stati zitti finanche in galera.

    Ora io vorrei non dover sempre dimostrare gli elementi che ho trovato io, vorrei che chiunque è concentrato sui suoi mi spieghi questo: l’amicizia tra Vigna e Izzo è normale?
    Non spinge nessuno a porsi dei dubbi?

    E non ci fa chiedere se Vigna era effettivamente il procuratore antimafia poi, e anti mostro prima, che la stampa ufficiale vuol far passare per integerrimo, e che invece ogni cosa che tocca marcisce rattrappita negli orrori indicibili di questo paese




    Per riassumere brutto-brutto.
    Falcone e Borsellino rappresentavano i pezzi “deviati” dello stato e della magistratura, e infatti vanno fermati.

    Vigna no, muore a casa sua di vecchiaia e lasciando scritto per il suo funerale “IO SONO CITTADINO...IO SONO NESSUNO”.

    Ogni mostrologo sa benissimo cosa voglia intendere, non importa che aggiunga

    altro.
    Questa divagazione mi serve per rispondere a tutte le ingenue persone che pensano che i magistrati indaghino per mettete in galera i cattivi e siano interessati alla ricerca della verità.

    Mi spiace signori miei, forse, dico forse, da qualche altra parte, non certo in questo paese.

    Anzi, chi ha cercato verità, giustizia e di mettere le cose a posto è stato fatto saltare in aria.
    Chi ha mantenuto lo status quo è glorificato dalle nomine e da carriere immotivatamente folgoranti.

    Ognuno tragga le sue conclusioni.

    Ref

    https://www.misteriditalia.it/altri-mister...unmentitore.pdf

    Wikipedia: Angelo Izzo

    La Gazzetta del Mezzogiorno

    https://www.google.it/amp/s/www.lagazzetta...-si-dimetta.amp
  11. .
    un amico mi consiglia il libro "cui prodest", che se ho ben compreso traccia il trait d'union tra mostro e terrorismo.
    c'è anche un estratto video di cui cito un paio di frasi

    "delitti coerenti con una lotta di tipo politico".
    "oggi mi rendo conto che esiste qualcosa che accomuna direttamente sia gli eventi di Firenze che quelli internazionali, e questa cosa è la paura. Un sentimento che regola il nostro comportamento, o almeno il comportamento dei più, che permette a taluni di gestire, di spingere, di evidenziare o far sparire altri elementi."

    "il mdf proviene da una famiglia molto in vista, già ai tempi del delitto del 68 ricopriva una carica di peso. Insomma qualcuno che andava coperto a tutti i costi. Poi in un secondo momento ci fu una grande svolta. Venne decisa una collaborazione organica. dove tutti avevano il proprio tornaconto, l'utile e il dilettevole."
    "seguendo lo svolgersi delle azioni del mostro mi sono fatto l'idea che potesse avere una formazione militare. (...) quindi ho pensato che potesse convogliare le sue pulsioni maniacali in una prima parte della sua vita, magari facendo parte di organizzazioni militari, e perché no di quelle cellule che si formarono negli anni 60 che avevano come obbiettivo quello di destabilizzare lo stato con la GUERRA NON CONVENZIONALE (detta anche guerra psicologica: PsyOp)"


    sono felice che i più stiano accettando questa tesi come l'unica sincretica razionalità in tutta questa vicenda.

    c'è anche un estrattino video che vi consiglio di guardare

  12. .
    Schermata_2021-06-19_alle_15

    L'INCREDIBILE STORIA DEL CADAVERE DI MARIA FRESU
    una ragazza di Firenze uccisa nella strage di Bologna, fatto sparire la notte del due agosto.


    vittime

    Gli errori di 24 anni
    La Corte d’Assise presieduta dal giudice Michele Leoni affronta in oltre trenta pagine il tema spinoso dei resti mai rinvenuti di Maria Fresu e di quelli erroneamente attribuiti alla 24enne toscana per quattro decadi. Una circostanza emersa per la prima volta durante il processo grazie a una perizia affidata dalla stessa Corte per ricercare tracce di esplosivo nei poveri resti contenuti nella bara della donna. L’esame del dna ha stabilito che quelle parti di cadavere (la maschera facciale, una mano con tre dita e una porzione di osso con un dente) non appartenevano alla Fresu ma a due donne e a un uomo rimasti ignoti. Una scoperta che ha dato luogo a due domande fondamentali: che fine avessero fatto i resti della Fresu, vista l’impossibilità della dematerializzazione completa del corpo su cui concordano i periti, e a chi invece appartenessero quelli rinvenuti nella sua bara e mai reclamati. Un tema su cui hanno molto insistito i legali di Cavallini, nell’ipotesi che vi fosse una vittima mai identificata e che dunque quei resti potessero appartenere alla attentatrice o agli attentatori. Una circostanza, quest’ultima, che avrebbe alimentato l’inquietante scenario di un inquinamento probatorio nel solco di una esplosione accidentale, in ipotesi avvenuta durante il trasporto dell’ordigno, una sequenza compatibile con la cosiddetta pista palestinese.
    L’effetto della bomba
    I giudici non si spingono a fornire la soluzione ma scrivono che «l’unica spiegazione razionalmente formulabile è che la Fresu, per la sua particolare posizione rispetto all’onda di sovrappressione» rilasciata dalla bomba, «ne sia stata travolta in pieno e che si stata altresì investita da massicci crolli di strutture, con l’effetto che il suo corpo sia stato smembrato e frammentato in maniera tale da non rendere più assimilabili i suoi resti, che possono essere andati a finire in contenitori residuali, poi dispersi». La Corte mostra i frame estrapolati dai filmati girati subito dopo l’esplosione per dimostrare «quanto sia inverosimile ipotizzare che qualcuno, nell’immediatezza, sia andato a perlustrare le macerie e le rovine al fine di individuare il cadavere dell’attentatore o degli attentatori». Anche i periti avevano osservato come le ricerche allora, prese dalla foga di trovare i vivi, furono fatte in modi che sicuramente hanno «determinato la dispersione e il mescolamento di parti organiche», rendendo plausibile che nella tomba della 24enne siano finite parti di altri corpi. «I presunti cadaveri trafugati in fretta e furia – la stoccata della Corte – sarebbero consistiti in una miriade di frammenti, da individuare in un simile marasma. Qui s’impone il buon senso ancora prima della logica».
    Il nodo del dna
    Il giudice Leoni spiega poi perché è stata respinta la richiesta dei difensori di Cavallini di procedere alla comparazione del dna delle cinque vittime che avevano subito una deformazione o asportazione del viso con quello del lembo facciale ritrovato nella tomba di Maria Fresu: le descrizioni morfologiche dei cadaveri, compilate all’epoca dai medici legal, erano incompatibili con il lembo ana izzato e attribuito erroneamente a Fresu. Perciò, conclude il giudice, «si sarebbe trattato di un accertamento radicalmente inutile e assurdamente dispendioso».
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
  13. .
    Posto da PsyOp

    «Che agenti della Cia si siano immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e successivi è possibile, anzi sembra ormai certo; erano di principio antiaperturisti e anti-centrosinistra. Che agenti della Cia fossero fornitori di materiali e fra i depistatori sembra pure certo».

    A esprimersi così sulla Central Intelligence Agency americana fu uno degli italiani che più avevano conosciuto, dall’interno dello Stato, la storia palese e parti di quella riservata della cosiddetta «Prima Repubblica». Era il 1° luglio 1997. Il senatore Paolo Emilio Taviani, in una fase segreta dei lavori, lo disse di fronte a un organismo dal nome lungo eppure più che appropriato per la sua audizione: «Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi». Taviani accennò anche all’eventuale coinvolgimento nell’attentato di «un colonnello dell’Arma dei carabinieri» o di un «ipotetico ufficiale del Sid»

    E io ho un nome in mente ma lo tengo per me. Ndr

    Chi scrive ha trovato queste affermazioni nell’Archivio storico del Senato. Rientrano tra gli atti che, per volontà delle attuali presidenze delle Camere, adesso, non sono più coperti da omissis.

    La strage di piazza Fontana, a Milano, fu compiuta il 12 dicembre 1969. Venne causata da una bomba nella Banca nazionale dell’Agricoltura che uccise 17 persone e ne ferì 98. Già segretario della Democrazia cristiana, ministro della Difesa (tra 1953 e 1958), dell’Interno (tra 1962 e 1968 e tra 1973 e 1974) e nel 1969 del Mezzogiorno, Taviani aveva titolo per aiutare a chiarire perché su piazza Fontana risultò tortuoso individuare le responsabilità dei fascisti, riconosciute nel 1979 dalla prima sentenza del processo di Catanzaro (negate in un appello reso definitivo e riemerse nel 2005 in Cassazione sulla base di un processo milanese).


    C’è un altro elemento fondamentale che coincide con la storia che sappiamo ormai a menadito.
    La non volontà di uccidere di quel progetto.
    Come spiega a Virgie.

    Taviani sostenne, come altri, che quell’esplosione uccise persone per effetto di un errore: chi piazzò la carica credeva che quel pomeriggio la banca dovesse restare chiusa.

    Noi invece sappiamo che doveva restare inesplosa ma il giovane Joe fece un errore.
    O forse glielo fecero fare

    https://www.google.it/amp/s/www.corriere.i...396863_amp.html


    Vi consiglio anche questo podcast

    https://storiainpodcast.focus.it/la-cia-e-...urizio-caprara/
  14. .
    quando citammo Cavdef.org ci dettero del pazzo, ma tanto prima o poi ci arriveranno tutti


    "Monster of Florence" - at various times, these killings have been linked to a Satanic cult led by the wealthy and powerful or Operation Gladio .

    http://cavdef.org/w/index.php?title=Serial_killers
  15. .
    alla fine c'è arrivata anche Report, di cui sbobino un pezzo:
    (riportato da PsyOp)

    Perché negli ultimi mesi della sua vita Falcone indagava silenziosamente Gelli, la P2, l'estremismo di destra, e GLADIO?

    Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, spiega l'omicidio Mattarella.
    Mattarella a suo dire era l'erede di Moro e del Moro pensiero, aveva ricreato in Sicilia una sorta di compromesso storico, per questo doveva essere fermato.

    "Falcone giunge alla conclusione che non è stato ucciso da mafiosi, ma è stato ucciso da due esponenti della destra eversiva: Cavallini e Fioravanti, gli stessi che saranno coinvolti nella strage di Bologna, e da quel momento in poi comincia ad indirizzare la sua attenzione su GLADIO"

    Successivamente all'accusa di Falcone i due, Cavallini e Fioravanti, vennero assolti dall'accusa di omicidio di Piersanti Mattarella, ma l'indagine rimase aperta.

    Parliamo di un'organizzazione militare promossa dalla C.I.A. nell'immediato dopoguerra, organizzata per contrastare una possibile invasione dell'Europa Occidentale da parte dell'unione Sovietica.

    Ne rivelò l'esistenza Giulio Andreotti che fornì al giudice Casson una lista alleggerita di soli 622 elementi."

    Giornalista Report: "la commissione parlamentare stragi del 2001, diretta dal senatore Pellegrino, accerta che oltre i 622 nomi ufficiali appartenenti a Gladio ve ne erano altri 331."
    Felice Casson, ex magistrato tribunale di Venezia: "E' vero che sarebbe stato interessante approfondire proprio per i contatti che questi personaggi avevano non soltanto con il vecchio mondo di destra, ma anche con gli ambienti malavitosi sia del nord che del sud mafioso.

    GR: quali possono essere stati i rapporti precedenti tra Cosa Nostra e GLADIO (noi qualche legame lo sappiamo, ndr)

    Casson: Mi ricordo che al tempo Giovanni Falcone mi aveva consegnato un verbale di Buscetta nel quale si parlava di un interesse da parte della CIA e della MASSONERIA durante il GOLPE BORGHESE in cui avrebbero dovuto collaborare l'EVERSIONE DI DESTRA ITALIANA, I SERVIZI ITALIANI, E LA MAFIA.

    (come volevasi dimostrare. abbiamo analizzato approfonditamente il golpe borghese. esattamente quel che si intende dalle dichiarazioni del poero Virgilitto peraltro ndr)

    "tra il 1990 e il 1994 centinaia di TELEFONATE ANONIME arrivano ai giornali una siglia invia minacce a politici e giornalisti, e rivendica gli attentati di Capaci e via D'Amelio del 92, e Firenze Roma e Milano del 93.

    Ma chi sono i falangisti?
    La procura di Roma apre un fascicolo di indagine ma viene rapidamente ARCHIVIATO.
    I primi sospetti, si concentrano sugli uomini di GLADIO.


    Report: che idea si è fatto lei della FALANGE ARMATA?
    Paolo Inzerilli, ex comandante Stay Behind: " da quel che ricordo è una cosa montata"

    :D :D :D scusate la risata ma mi è scappata

    invece, Roberto Tartaglia, ex PM processo trattativa STATO-MAFIA, alla stessa domanda: "E' CERTAMENTE UN'OPERAZIONE DI INTELLIGENCE.
    Ed è un'operazione di Intelligence fatta da chi sa fare la GUERRA NON ORTODOSSA in questo paese.

    E allora la domanda diventa questa, chi è che INSEGNA a Salvatore Riina il LINGUAGGIO che abbina cieca violenza mafiosa di Salvatore Riina e Cosa Nostra, alla RAFFINATA GUERRA PSICOLOGICA di Informazione che c'è dietro l'operazione della falange armata"

    We know who he is ndr

    Report: L'ambasciatore Fulci sostiene che le telefonate da cui provenivano le rivendicazioni della falange armata erano sedi dei centri periferici dei servizi, sentito a verbale nel 2014, disse:
    "MI SONO CONVINTO CHE TUTTA QUESTA STORIA DELLA FALANGE ARMATA FACEVA PARTE DI QUELLE OPERAZIONI PSICOLOGICHE PREVISTE DAI MANUALI DI STAY BEHIND. OVVERO GLADIO.
    Facevano esercitazioni per capire come procurare il PANICO in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il paese.

    https://www.facebook.com/ReportRai3/videos...231786438448276

    qui la puntata integrale

    https://www.rai.it/programmi/report/inchie...8190747f7d.html
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