Sneak JB Fellowship

Votes taken by dedobiker

  1. .
    Oggi vorrei tentare di spiegarvi una cosa: se insisto tanto sull'aspetto di Guerra Psicologica che i più non vogliono ammettere o considerare non è certo, come alle volte mi si dice, magari anche con ragione, per dare sfoggio delle evidenze da me trovate e per mettermi in risalto in quel che è la bagarre mostrologica.
    Nient'affatto.
    E' il mio modo di salvare quante più persone possibili dalle PsyOp che vedo oggi.
    Non appena è arrivato sto strano raffreddore che ci dicevano di non poter curare con i soliti antinfiammatori e le varie altre bombe medicinali ormai di sicura efficacia, inizialmente ho avuto un dubbio, ma sarebbe stato frettoloso, da parte mia, saltare a conclusioni. L'ho fatto quando un medico amico che conosco mi ha mandato la lista di farmaci che loro si prendevano, mentre a noi ci intibuvano, inutilmente, per ucciderci.
    Quando poi è arrivato il cosiddetto V-, non avevo alcun dubbio, lo scopo, in un pianeta arrivato a 8 miliardi ma -soprattutto- all'alba della quarta rivoluzione industriale non aveva davvero senso razionale, dal loro punto di vista, "salvare" miliardi di persone divenute non solo inutili ma dannose, dal loro punto di vista.
    A costo di essere stigmatizzato e deriso ho cercato di mettere in guardia quante più persone possibili.
    Le evidenze su una storia tutto sommato semplice da definire, anche se molto complessa, credevo potessero fungere da grimaldello per scardinare questa innata fiducia che i più nutrono nel potere, dopo appunto le bombe, l'11 settembre, la crisi finanziaria che è stato un sacco mondiale, e, -anche- il mostro.
    Non c'è stato niente da fare.
    Nonostante le attese desecretazioni, articoli e scritti che contestualmente arrivavano che continuavano a confermare la mia teoria (tra tutte le dichiarazioni rese pubbliche da Caprara de "il corriere della sera" di Taviani nella commissione del 97 in cui ammetteva candidamente che dietro Fontana c'era la CIA o la commissione antimafia da poco pubblicata) la gente non ha voluto, o potuto, saputo capire che il potere è tutto tranne che buono.
    Ora cominciano ad uscire i dati su questa ennesima, atroce, definitiva, PsyOp.
    Molti, alla fine, ci sono arrivati per intuito, anche non associando i vari eventi come ho fatto io.
    Bene, l'importante è il risultato.
    Molti altri continuano a sfottere chi cerca di metterli in allarmi e di fidarsi dei propri aguzzini.
    Oggi che cominciano a morire io non posso che dispiacermene, nonostante il loro comportamento, perché sono un essere umano, anche se mi hanno augurato morte, terapie intensive, e di essere segregato come ebrei e neri in tempi passati che speravamo dimenticati.
    Concludo dicendo che lo studio della storia e più in generale un diverso approccio interpretativo dei fenomeni del mondo non sono studi per perditempo, ma se eseguiti nel modo giusto, da un punto di vista funzionale, cambiano il tuo apporccio con il presente, e ti possono salvare, letteralmente, la vita.
    Mi si derida pure, ma per pietà, smettete di inocularvi, fatevi venire un sacrosanto dubbio una volta tanto, e, soprattutto, non toccate i bambini, l'obbiettivo degli obbiettivi di questi pedosatanisti manipolatori.
    Grazie.

    https://rumble.com/v1wffys-died-suddenly-w...RGJX8RFriSYrtUUSchermata022-11-23_alle2_3

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    Oggi vorrei tentare di spiegarvi una cosa: se insisto tanto sull'aspetto di Guerra Psicologica che i più non vogliono ammettere o considerare non è certo, come alle volte mi si dice, magari anche con ragione, per dare sfoggio delle evidenze da me trovate e per mettermi in risalto in quel che è la bagarre mostrologica.
    Nient'affatto.
    E' il mio modo di salvare quante più persone possibili dalle PsyOp che vedo oggi.
    Non appena è arrivato sto strano raffreddore che ci dicevano di non poter curare con i soliti antinfiammatori e le varie altre bombe medicinali ormai di sicura efficacia, inizialmente ho avuto un dubbio, ma sarebbe stato frettoloso, da parte mia, saltare a conclusioni. L'ho fatto quando un medico amico che conosco mi ha mandato la lista di farmaci che loro si prendevano, mentre a noi ci intibuvano, inutilmente, per ucciderci.
    Quando poi è arrivato il cosiddetto V-, non avevo alcun dubbio, lo scopo, in un pianeta arrivato a 8 miliardi ma -soprattutto- all'alba della quarta rivoluzione industriale non aveva davvero senso razionale, dal loro punto di vista, "salvare" miliardi di persone divenute non solo inutili ma dannose, dal loro punto di vista.
    A costo di essere stigmatizzato e deriso ho cercato di mettere in guardia quante più persone possibili.
    Le evidenze su una storia tutto sommato semplice da definire, anche se molto complessa, credevo potessero fungere da grimaldello per scardinare questa innata fiducia che i più nutrono nel potere, dopo appunto le bombe, l'11 settembre, la crisi finanziaria che è stato un sacco mondiale, e, -anche- il mostro.
    Non c'è stato niente da fare.
    Nonostante le attese desecretazioni, articoli e scritti che contestualmente arrivavano che continuavano a confermare la mia teoria (tra tutte le dichiarazioni rese pubbliche da Caprara de "il corriere della sera" di Taviani nella commissione del 97 in cui ammetteva candidamente che dietro Fontana c'era la CIA o la commissione antimafia da poco pubblicata) la gente non ha voluto, o potuto, saputo capire che il potere è tutto tranne che buono.
    Ora cominciano ad uscire i dati su questa ennesima, atroce, definitiva, PsyOp.
    Molti, alla fine, ci sono arrivati per intuito, anche non associando i vari eventi come ho fatto io.
    Bene, l'importante è il risultato.
    Molti altri continuano a sfottere chi cerca di metterli in allarmi e di fidarsi dei propri aguzzini.
    Oggi che cominciano a morire io non posso che dispiacermene, nonostante il loro comportamento, perché sono un essere umano, anche se mi hanno augurato morte, terapie intensive, e di essere segregato come ebrei e neri in tempi passati che speravamo dimenticati.
    Concludo dicendo che lo studio della storia e più in generale un diverso approccio interpretativo dei fenomeni del mondo non sono studi per perditempo, ma se eseguiti nel modo giusto, da un punto di vista funzionale, cambiano il tuo apporccio con il presente, e ti possono salvare, letteralmente, la vita.
    Mi si derida pure, ma per pietà, smettete di inocularvi, fatevi venire un sacrosanto dubbio una volta tanto, e, soprattutto, non toccate i bambini, l'obbiettivo degli obbiettivi di questi pedosatanisti manipolatori.
    Grazie.

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  3. .
    nell'arco di pochi minuti è diventato il colpevole ed è già all'ergastolo. Pazzesco.
    Se l'arma del delitto non c'è è perché non ha perso la testa ma perché è astuto.
    Anzi se non ricorda qualcosa è perché ha un aspetto manipolatorio molto accentuato. Tutto già deciso.
    Lo chiamano "stato di diritto".
    C'è da aver davvero paura, si, ma dello stato non dei killer
  4. .
    P.P.S.
    Dice bene il trans ad un certo punto. Non è credibile che una persona anche di potere e che sa come vanno le cose uccida gente facendosi sgamare in questo modo, per cosa? Un pompino cinese fatto male? (Cit. del trans.) dai su....
  5. .
    tornando ai delitti romani, lo vedete come ogni delitto sposta l'asticella della percezione della giustizia?
    Adesso Giletti a "non è l'arena" ha appena detto che si deve parlare di sospetto e non di colpevole PERCHE' NON HA ANCORA CONFESSATO.


    Apparentemente sembra una frase innocua, no? E invece si attribuisce alla confessione la "colpevolezza", che è ben altra cosa.
    Questi processi sono prodromici ad ogni processo giudiziario.
    Il mostro ne è stato un esempio eclatante, ma anche in ogni altro possiamo vedere questa involuzione, la stessa che si è perpetrata nella scienza.
    Si veda al riguardo "la psicologia del terrorismo" di Desmet.


    P:S:
    Della puntata in questione vi posterò la replica appena disponibile ma già il fatto che si sia subito attivata la Buzzone dovrebbe far riflettere. o no?
  6. .
    Per me quei delitti sono il segno che stanno addestrando nuovi JB. JB era funzionario di un apparato. Non è che se muore o invecchia il direttore di una banca di finisce il mutuo. Così io vedo i delitti dell'"organizzazione"
  7. .
    E mentre alcuni stanno a discutere sul mostro e altri semplicemente ignorano e dimenticano tutto, intanto le PsyOp vanno avanti!

    E il più che sappiamo dire è “lo stato non ci farebbe mai del male.”
    Credeteci.
    Ok la quinta dose vi aspetta.

    https://odysee.com/@laquintacolumnainterna...Bx-QWRlDgYRyioE
  8. .
    Il tuo commento COCORICO lo trovo incontentabile, ma voglio provarci .
    Su quali elementi dici "Non si possono dire queste cose" "non ci si può permettere assolutamente!"
    Non ci si può permettere cosa? Di dire che il RE è NUDO?
    E' lesa maestà forse?

    Perché "Dire che lo Stato ha ucciso quelle coppiette di giovani è grave e irrispettoso nei confronti dei parenti delle vittime ma anche di tutti."
    Di tutti chi? Non credi, che, ad esempio, fare luce sui delitti commessi dallo STATO AMERICANO l' 11 SETTEMBRE 2001 sia proprio un modo di rendere giustizia alle oltre 3000 vittime massacrate dal governo? In che modo spiegare che il mostro era una branca del terrorismo di stato, come la strategia della tensione, dovrebbe anzi essere irrispettoso dei parenti delle vittime? Non vogliono che si indaghi la verità, forse?

    "Non scherziamo troppo perché dire queste cose è allucinante e riprovevole." nessuno qui sta scherzando e allucinante e riprovevole ci sarai tu.


    "Io non so che problemi abbiano quelle persone che scrivono queste cose" adesso cercherò di mantenere il rispetto che non hai e invece spiegarti che problemi hai tu, problemi cognitivi intendo, "ma nel particolare questa storia, del MDF, è tutt’altro di quello che dicono, ha una natura e uno sviluppo di altro genere." E su quali elementi tu asserisci questo DOGMA?
    LA FEDE?
    Pensi che lo Stato non possa venderti dei sieri che non vaccinano spacciandoli per vaccini?
    E perché no? Perché tu credi ad un mostro mai depistato di cui si apprende che ha ucciso nel 68 per un depistaggio o impilaggio dello stesso?
    No, dico, ma "queste persone con dei problemi" come li chiami tu sono la massima autorità giudiziaria di questo fottuto paese, neanche ora che il rapporto Rizzuto e l'omicidio della Ciabani, nonché Cittadino Amico, il ruolo della massoneria, e quant'altro, è nero su bianco da una commissione di inchiesta antimafia del parlamento della Repubblica dobbiamo sentirci vessati da questi fanatici del mainstream?

    Ma tu hai almeno mai indagato, ti sei mai chiesta, perché credi a tutto ciò che ti viene detto nonostante il nostro lavoro?
    Ancora non hai capito che la bomba di PIazza Fontana Bresca e Bologna le ha messe Joe e tutte le procure lo hanno coperto?
    Ma cosa ci fai qui? Credi forse che Joe fosse un Lust murder intelligentissimo e fortunatissimo?
    Follia totale....


    "Queste teorie smontano proprio la storia, la soffocano con i loro concetti ad essa inapplicabili, la oscurano e quindi depistano, con il grave danno che si aggiunge ai danni passati di non far capire il Mostro." tu che l'hai capito allora spiegacelo te, dai, che è brutto tempo e almeno ci facciamo 4 grasse risate.
    Fammi la cortesia....

    E magari leggila, la commissione di codesti depistatori della commissione. Cosa su cui peraltro hai anche una qualche ragione, ma non per i motivi che adduci tu.
    Da pagina 15 di PsyOp la trovi in larghissima parte, con tanto di commenti e link utili per meglio capire di che si parla.

    Riporto un recente post su Facebook di Federica Francesconi.

    "Una domanda ai capoccioni della controinformazione, molti dei quali si sono candidati alle elezioni del 25 settembre: come mai non vi state occupando dell'inchiesta della Commissione bicamerale antimafia sul Mostro di Firenze, le cui conclusioni sono state deposte e rese pubbliche da più di una settimana?
    Cosa si dice di così terrificante nell'inchiesta al punto da essere snobbata non solo dall'informazione di regime ma anche dalla controinformazione?
    In sintesi: gli omicidi che in passato sono stati ascritti a un killer solitario, il Mostro di Firenze appunto, sono in realtà da attribuire a pezzi deviati dello Stato. Membri delle Forze dell'Ordine, Magistratura, mondo della politica, medici, hanno sistematicamente compiuto omicidi, una trentina circa in un arco temporale di 20 anni, probabilmente per finalità di magia nera. I feticci asportati dalle coppie uccise erano utilizzati in rituali di magia nera. Per mettere a tacere lo scandalo sono state uccise decine di testimoni chiave che nei processi avrebbero potuto ribaltare la verità giudiziaria e scagionare i tre minus habens accusati di essere i mostri e condannati in via definitiva (Pacciani, Lotti e Vanni). L'organizzazione a delinquere che ha commesso gli omicidi ha potuto agire indisturbata e sfuggire alle indagini grazie alle coperture, agi insabbiamenti di cui ha potuto godere all'interno degli apparati dello Stato, in particolar modo all'interno della Magistratura e dei Servizi segreti. Parliamo di personaggi che all'interno della società italiana occupano posizioni altolocate, come riconosce la stessa Commissione antimafia, dunque con gli strumenti intellettuali ed operativi per sviare le indagini ed influenzare, quand'anche minacciare e ricattare, gli inquirenti che indagavano.
    No, non è la trama di un film hollywoodiano ma il verdetto a cui giunge la Commissione parlamentare d'inchiesta in 120 pagine di orrori su orrori (link del documento nei commenti in basso). Mi meraviglio che i grandeur della controinformazione, impegnati a scannarsi tra di loro per ottenere il primato nella rappresentanza dell'area del dissenso, non ne abbiano parlato. Anzi, a dire il vero non mi meraviglia per niente. L'unico che ne ha parlato è stato il buon Fabio Frabetti nella trasmissione Border Nights. Per il resto silenzio totale.
    La strategia della tensione non è mai finita, non si è solo rivestita di terrorismo politico, rosso e nero. La strategia della tensione è stata anche Gladio e il Mostro di Firenze. Il gruppo che ha materialmente organizzato gli omicidi riconducibili al Mostro di Firenze, essendo rimasto impunito, probabilmente è ancora attivo, anche se non uccide più coppiette che si appartano.
    Questo paese è un buco nero in cui è finita ogni sorta di nefandezza ed è al centro dell'attenzione dei servizi segreti di mezzo mondo. Perché l'Italia non è un posto qualsiasi. L'Italia è situata in una posizione energetica potentissima. Tutto quello che accade sul nostro territorio dal punto di vista energetico è amplificato cento volte rispetto ad altri paesi. La vicenda del Mostro di Firenze, con quelle caratteristiche occultistiche confermate anche dalla Commissione parlamentare, poteva accadere solo in Italia.
    Chi vuol capire capirà. Gli altri che si fregiano dell'aureola di dissidenti possono continuare a scannarsi tra di loro".

    Professoressa Federica Francesconi.


    qui invece la trovi per intero se preferisci. ma tanto non la leggerai


    https://www.parlamento.it/application/xman...KIcVEFnfD4_Vd1c

    Schermata_2022-11-17_alle_13
  9. .
    Quest’ultima lettura degli eventi è apparsa rafforzata sul finire degli anni Novanta nel corso del processo ai cd. « compagni di merende ». In quel tempo furono ascoltati dalla Corte di assise di Firenze alcuni testimoni coinvolti in rapporti di vario tipo con soggetti sardi verosimilmente implicati nel delitto di Signa e poi indagati per i successivi crimini a sfondo maniacale. In specie, un testimone finì con il supportare indirettamente questa tesi, riferendo che uno di quelli, Francesco Vinci, gli aveva confidenzialmente riferito di temere per la propria vita, giacché suoi conoscenti a cui aveva ceduto l’arma del delitto di Signa temevano che egli potesse « parlare » e rivelare a chi l’avesse consegnata. Si può ipotizzare che le persone che avevano ricevuto l’arma siano stati gli autori della serie dei delitti dal 1974 in poi.


    A chi mai può aver dato quell'arma se non al procuratore "che conta"?

    Ora, in questo contesto di ipotesi, la Commissione ha raccolto dati e documenti a sostegno della seconda tesi, cioè quella dell’esistenza dello scritto anonimo (che si tratti di « impistaggio » o « depistaggio ») il quale avrebbe evidenziato la relazione tra il delitto di Signa del 1968 e la successiva serie dei delitti del « mostro ».
    I dati a sostegno sono i seguenti.
    In primo luogo, vi sarebbe una nota del sostituto procuratore della Repubblica di Firenze, Silvia della Monica, con la quale veniva richiesta al comando dei Carabinieri di Borgo Ognissanti – Firenze la restituzione di un « biglietto anonimo » che riferiva di un ulteriore duplice delitto, quello di Signa del 1968, da collegare alla serie del « mostro ».



    In secondo luogo, vi sarebbe la rogatoria, sopra citata ed acquisita, avanzata dal giudice istruttore, Tricomi, al collega di Palermo nella quale si citava espressamente il fatto che « grazie ad un anonimo si veniva a scoprire che i delitti di coppie avvenuti in provincia di Firenze erano cinque e non solo quattro ».

    Questo atto di rogatoria, risalente al 29 ottobre 1982, avrebbe potuto costituire un documento decisivo per suffragare la tesi secondo la quale il collegamento tra il crimine di Signa e il resto dei delitti fu operato per mano dell’anonimo, e non in ragione del ricordo del sottoufficiale Fiori, come risulta dalla ricostruzione ufficiale.


    almeno questo, mettiamolo una buona volta come punto fermo

    In ultimo, quale terzo documento atto a sostenere l’ipotesi ricostruttiva sin qui descritta, per la quale lo scritto anonimo diresse le indagini verso l’ambiente dei « sardi », va indicato il trafiletto pubblicato su « La Nazione » nel quale veniva rivolto un invito ad un fantomatico « cittadino amico » affinché tornasse a mettersi in contatto con gli inquirenti per offrire ulteriori informazioni, dopo che, in precedenza, era riuscito a fornire utili dettagli sull’andamento delle indagini. In molti hanno ritenuto che quest'articolo - verosimilmente pubblicato su impulso dei carabinieri della Compagnia di Borgo Ognissanti (193) – costituisse il tentativo, da parte degli inquirenti, di indurre l’anonimo a fare ulteriori rivelazioni.

    In altre parole, questo « canale comunicativo di ritorno » costituirebbe conferma del fatto che l’anonimo vi fu e che gli inquirenti cercarono, per di più, di fargli rivelare altro, proprio per far luce velocemente sui meandri della « pista sarda » che allora si stava aprendo. Per cogliere approfonditamente il significato proprio di questo tentativo di mettersi nuovamente in comunicazione tramite « La Nazione » con l’anonimo « cittadino amico », occorre porre attenzione alla cronologia dei seguenti eventi: il delitto di Baccaiano di Montespertoli fu commesso il precedente 19 giugno 1982; il 20 giugno 1982 fu rinvenuta, in una pineta del litorale grossetano, l’auto – come risulta dal rapporto giudiziario – « abbandonata e occultata »; l’articolo fu pubblicato il 20 luglio 1982.


    scusate ma di che auto stanno parlando?

    Mentre la Commissione stava cercando di trarre delle conseguenze da questa ipotesi ricostruttiva, si è rilevata la presenza di una ulteriore documentazione che potrebbe imprimere una nuova e interessante direzione nella ricerca di quanto accadde nell’estate del 1982, di ciò a cui questi fatti condussero e, soprattutto, nella ricostruzione dell’humus in cui maturarono i delitti del « mostro di Firenze ». Una volta esposti i termini di questa scoperta, occorre cercare di collegare tale nuovo segmento di ricostruzione agli altri filoni dell’inchiesta le cui risultanze sono contenute nella presente Relazione.


    Delineate le due ipotesi di massima circa l’origine della cd. « pista sarda », appare qui utile richiamare i principali contenuti della sentenza emessa nel 1989 dal giudice istruttore di Firenze, riguardo il duplice delitto di Signa del 1968.
    Si tratta di una pronuncia che ha il pregio di rappresentare un vero e proprio compendio sulle attività di indagine svolte sui «delitti delle coppie » rivolte nella direzione della c.d. « pista sarda ». Il giudice istruttore (194) aveva effettuato un’ampia attività di riscontro e valutazione degli indizi che indicavano come l'« assassino delle coppie », l'« uomo di Firenze » o il « mostro di Firenze » (i vari appellativi che si succedettero per indicare l’autore dei crimini), si dovesse cercare nell’ambiente dei « sardi » da cui era scaturito il primo duplice delitto in ordine di tempo, quello appunto di Signa del 1968. Sotto la vigenza del vecchio codice di rito penale, la sentenza intervenuta chiudeva idealmente i conti con una stagione di indagini protrattasi per quasi sette anni. I proscioglimenti non furono tuttavia un segno di resa, perché la pronuncia conteneva una ricostruzione analitica dei fatti e del materiale probatorio acquisito compendiando a quel punto, tutto ciò che si poteva ipotizzare circa il coinvolgimento dei vari personaggi che ruotavano intorno al delitto Locci – Lo Bianco.


    Tra le accurate disamine racchiuse nella sentenza in esame, vi è anche uno studio circa il come si fosse giunti al collegamento tra il delitto di Signa del 1968 e quelli della serie consumatasi tra il 1974 e il 1982.
    Nel provvedimento non si mancò di esaminare il delicato frangente dianzi illustrato e cioè l’alternativa di fondo tra l’ipotesi del guizzo di memoria del maresciallo Fiori e, invece, il riferimento fatto pervenire da un anonimo. L’uno o l’altro dovevano aver indotto a mettere in connessione il duplice delitto del 21 agosto del 1968 con i successivi e anche il giudice istruttore mostrò di voler comprendere a fondo il modo in cui si giunse a quello svincolo decisivo che aveva poi indirizzato le indagini (anche le sue, peraltro) per tutto il periodo in cui i delitti continuarono ad essere compiuti e poi oltre, quando occorreva spiegarsi per quale ragione essi fossero cessati.
    La Commissione ha dunque esaminato attentamente la citata sentenza, autentico spartiacque dell’intera storia delle indagini sul duplice delitti, e si è imbattuta in un passaggio particolarmente ostico e, al contempo, rilevante.


    Si ritiene opportuno trascriverlo per poi poter spiegare la traiettoria che la sentenza sembra seguire. Il giudice istruttore, estensore della pronuncia, si chiede in definitiva se, per riaccendere i riflettori sul delitto di Signa, un anonimo (o altro tipo di intervento esterno: un confidente) vi fosse stato oppure no, e conclude:

    « Da ultimo, in questo 1989, si è ritornati incidentalmente sull’argomento, in rapporto ad atti rinvenuti nel fascicolo del Nucleo Operativo della Compagnia di Prato (Cfr. fascicolo Parretti in vol. 7k), ed alla possibilità smentita in maniera assoluta dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968 fosse stata ottenuta diversamente, per esempio attraverso una confidenza ». (195)


    La Commissione ha cercato di approfondire questi dettagli contenuti nella pronuncia del giudice istruttore che, in parte sepolta dalla lunga congerie di atti e decisioni che hanno segnato il caso, presenta ancora oggi preziosi spunti. Grazie alla fondamentale collaborazione offerta dalla procura fiorentina è stato dunque possibile recuperare ed esaminare il « fascicolo Parretti », cui il giudice istruttore riservò – in quel lontano 1989 – un’attività di approfondimento che si è ritenuto di non sottovalutare e di provare a riscoprire. I risultati, al riguardo, appaiono rilevanti.


    Il brigadiere Vincenzo Parretti era stato, insieme al collega Antonio Amore, uno dei due sottoufficiali dell’Arma che effettuarono una parte dei primari atti di indagine sul delitto Baldi-Cambi, dell’ottobre 1981, perpetrato a Calenzano. Per questo delitto, la competenza fu inizialmente assunta dalla procura della Repubblica di Prato e le indagini furono delegate all’Arma dei Carabinieri. Si trattò dell’unico duplice delitto della serie che presentò l’ulteriore problema di coordinamento con le indagini condotte, per gli altri eventi omicidiari, dalla procura della Repubblica di Firenze.

    Nella pronuncia del 1989, il giudice istruttore fece riferimento al cd. « fascicolo Parretti » (verosimilmente dal nome del sottufficiale che aveva provveduto alla sua formazione) in cui erano contenuti anche alcuni atti di indagine compiuti dal Nucleo operativo della compagnia dei Carabinieri di Prato.
    La Commissione ha ritenuto di concentrare l’attenzione su alcuni di essi che assumono un indubbio significato.
    In primo luogo, nel « fascicolo » è contenuto un appunto del brigadiere Parretti nel quale il sottufficiale illustrava quanto segue:

    – un suo informatore « gli aveva aperto la strada » per più incontri con una persona di origini sarde; questi gli aveva confidato che il proprio padre, in punto di morte, aveva rivelato i veri colpevoli del delitto avvenuto a Signa, nei pressi del cimitero, per il quale era stato condannato Stefano Mele, marito della vittima Barbara Locci;

    – questo delitto era stato compiuto da Salvatore Vinci coadiuvato dal fratello Francesco Vinci, il quale lo aveva ivi accompagnato, soltanto perché in grado di conoscere il luogo esatto ove la Locci usava appartarsi;

    – la pistola di piccolo calibro, mai ritrovata, doveva provenire da Salvatore Vinci;

    – vi era un bambino in auto, appunto il figlio della Locci, al momento della consumazione del delitto;

    – i fratelli Vinci si sarebbero recati sul posto con una Lambretta.

    In questo appunto si rinvenivano anche altre interessanti notazioni. Il sottufficiale dell’Arma precisava che questa sua fonte, da lui ritenuta attendibile, non poteva essere individuata e identificata per il rischio che potesse negare tutto e, inoltre, mettere in difficoltà lo stesso sottoufficiale che aveva raccolto le sue confidenze. what the fuck?

    Ma l’aspetto decisamente più rilevante dell’appunto risiede nelle date che gli sono apposte in calce e la nota, vergata a mano, che ne descrive la presunta trasmissione. La data in epigrafe all’appunto è quella del 7 luglio 1982, mentre quella in calce, che può ipotizzarsi relativa a quando esso fu scritto dal Parretti, è addirittura il 3 luglio 1982.
    L’intero « fascicolo Parretti » ruota intorno allo sforzo, condotto dal giudice istruttore, di fare luce sulla circostanza dell’incontro con l’infor- matore, acclarare la veridicità dell’episodio e cogliere, in definitiva, la sorte procedimentale dell’appunto medesimo. La Commissione ritiene di poter affermare che, tra l’altro, il giudice stava cercando di capire se, proprio da quel fronte (il confidente del Parretti), potesse provenire lo spunto iniziale per il collegamento tra la serie delittuosa e i fatti di Signa del 1968.
    Non potendosi in questa sede condurre un’analisi dettagliata dell’intero « fascicolo Parretti », la Commissione ha ritenuto opportuno limitare il proprio orizzonte di osservazione a tre profili su cui orientare la complessiva disamina delle risultanze documentali:

    – in primo luogo, sul piano dello sviluppo e dell’esito del processo, delineare le conclusioni cui pervenne il giudice istruttore sulla vicenda del confidente del Parretti e del relativo appunto;

    – sul piano ricostruttivo dei fatti del giugno-luglio 1982, evidenziare i tratti di interesse e le possibili ipotesi ricostruttive di insieme;

    – sul piano del metodo, trarre alcune conclusioni sugli approfondimenti svolti dalla Commissione a seguito dell’analisi della documentazione trasmessa dall’ufficio requirente fiorentino.


    7.2 Le conclusioni cui pervenne il giudice istruttore sul problema dell’appunto Parretti e dell’apporto reso dal suo informatore




    Il giudice istruttore valutò a fondo l’attendibilità del racconto reso dal presunto informatore del sottufficiale Parretti in ragione della particolare rilevanza delle confidenze fattegli.
    Sarebbe stato un fatto clamoroso che un confidente sardo avesse potuto prefigurare il collegamento tra il delitto del 1968 e quelli consumatisi dal 1974 al 1982. Le date della prima settimana di luglio, poste sull’appunto, sarebbero assai sospette, poiché di lì a poco il collegamento sarebbe stato ufficializzato a tutti gli effetti.

    C’è poi un dato di immediata rilevanza e cioè che l’informatore del brigadiere Parretti non si sarebbe limitato a descrivere la dinamica del duplice delitto di Signa, ma avrebbe addirittura rivelato i colpevoli effettivi di quel crimine individuandoli nei fratelli Vinci e, segnatamente, in Salvatore quale autore materiale. Considerato che il giudice aveva esplorato a fondo tutti gli aspetti della cd. « pista sarda », e tenendo presente che Salvatore Vinci restava l’indiziato su cui convergevano i maggiori elementi quale autore non solo del delitto del 1968, ma anche dei delitti delle coppie uccise dal 1974 al 1985, il giudice cercò di fare luce su più piani di quella oscura vicenda. Il quadro complessivo di indagine su cui si concentrò si trova riassunto nel seguente passaggio della testimonianza del 3 aprile 1989 dello stesso Parretti

    « La Signoria Vostra mi chiede quali motivi abbia per non riferire il nome del confidente e mostra perplessità con riferimento all’appunto. Le ribadisco che non posso fare alcun riferimento alla confidenza per l'impegno preso e aggiungo che ho fatto un giuramento di sangue.



    ma che cazzo stai dicendo? ma sei un carabiniere o un massone? assurdo.

    La Signoria Vostra (197) mi spiega che l’indagine concerne due momenti e cioè quello relativo alla formazione del documento e al suo inoltro e quello relativo alla valutazione del contento della confidenza.
    Rispetto al primo non ho che da confermare quanto ho detto, rispetto al secondo ribadisco che in questo momento non ritengo di poter fare il nome del confidente. Ed a riprova di quanto ho detto circa il giuramento di sangue, Le mostro sul polso sinistro i segni di una piccola cicatrice che mi fece il Sardo con il suo coltello, operando un taglio anche sul suo polso sinistro e congiungendo poi, per qualche istante, i nostri due polsi.


    :blink: :blink: :blink:

    Quel che posso dire è che quel confidente era delle zone di Barberino del Mugello. Non accertai in via anagrafica il decesso di suo padre che mi fu però confermato a voce da persona di fiducia ».

    un paese davvero incredibile questo

    Il drammatico passaggio dell’esame testimoniale del brigadiere Parretti spiega bene come l’autorità giudiziaria stesse cercando di valutare due distinti profili e cioè se il sottufficiale avesse effettivamente trasmesso l’appunto, già inserito a pagina 58 del fascicolo formato con riguardo al delitto di Calenzano dell’ottobre 1981, e quindi, implicitamente, esso potesse essere stato la base costitutiva per l’aprirsi della pista sarda, e se la confidenza ricevuta da Parretti fosse fondata e credibile.


    Il primo tema di indagine avrebbe garantito di comprendere finalmente la genesi dell’avvento della « pista sarda » (e quindi coglierne l’eventuale natura di « impistaggio » o di depistaggio); il secondo poteva eventualmente far luce sull’autore dei delitti delle coppie, a cominciare dal crimine di Signa del 1968, letto così in una logica continuistica, di autore unico e costante nel tempo. Quest’ultimo dato, va detto, costituì evidentemente l’ultimo scampolo per valutare la posizione, allora assai sospetta, di Salvatore Vinci quale autore dei duplici omicidi.

    Su questo doppio profilo la Commissione ritiene di svolgere alcune considerazioni che, ancorché prive di consistenza diretta dal punto di vista giudiziario, possono tuttavia contribuire a fornire un contributo di verità sulle vicende oggetto della presente relazione.

    Prima di procedere tuttavia è opportuno tener presente che, sempre nella sentenza emessa dal Giudice Istruttore del Tribunale di Firenze nel 1989, la figura del sottoufficiale Parretti viene sfiorata in altra parte delle motivazioni. Infatti, nel corpo del paragrafo 9.5 della predetta Pronuncia, si legge quanto segue con riferimento ad una perquisizione effettuata a carico di Salvatore Vinci: "Le perquisizioni effettuate nei suoi confronti (a partire da quella assai tardiva del 1968), e quella più rilevante suggerita da dichiarazioni della Pierini al p.m., sono risultate vane per quanto concerne la pistola (circa quest’ultima, come risulta da intercettazioni telefoniche, ed indirettamente da una vicenda in cui è implicata la D’Onofrio, una sua amica ed un sottufficiale di Prato, l’uomo era già avvertito dei controlli di P.G.)"


    È ragionevolmente certo affermare che il sottoufficiale di Prato cui si riferisce il Giudice Istruttore, sia proprio il Parretti il quale, evidentemente, era stato quanto meno sospettato di aver contribuito ad avvisare in anticipo il Vinci della perquisizione che lo avrebbe interessato. :blink:

    A riguardo sarebbe opportuno poter comprendere se tale "vicenda" sia poi sfociata nella pronuncia di assoluzione cui il Parretti sembrò più volte fare riferimento in diversi colloqui con ufficiali dell’Arma. Sia come sia, è chiaro che agli occhi del Giudice Istruttore Rotella, l’ipotesi che il Parretti avesse in qualche modo interagito con l’ambiente che gravitava intorno a Salvatore Vinci e in particolare con le donne con cui lui si accompagnava, deve aver costituito un elemento negativo circa la credibilità e le linearità delle dichiarazioni rese dal sottoufficiale di stanza a Prato nel 1982.

    7.3. Una (prima) plausibile ricostruzione di quel che accadde nel giugno-luglio 1982



    Il tornante di tempo dei giorni di passaggio tra giugno e luglio del 1982 fu determinante per la storia delle indagini sui delitti. Il 19 giugno di quell’anno si consumò il drammatico agguato di Baccaiano di Montespertoli in cui perse la vita la quarta coppia vittima del cd. « mostro di Firenze »: Paolo Mainardi e Susanna Migliorini. Il successivo 30 giugno fu pubblicato l’identikit formato in seguito all’avvistamento di un sospetto sul « ponte alla Marina » a Calenzano. Un identikit che era stato composto parecchi mesi prima, e anche solo questo è per me un elemento chiarificatore di tutta la vicenda ma che gli inquirenti si decisero a pubblicare solo sul finire di giugno del 1982, verosimilmente in un momento di notevole difficoltà nell’imboccare una pista investigativa.

    Certo, perché se tu hai un identikit del più ricercato serial killer d'Italia lo tieni nel cassetto 7-8 mesi. certo.

    Come detto, l’appunto del brigadiere Parretti reca la doppia data del 3 (forse inizio della redazione) e del 7 luglio 1982. A luglio inoltrato, la « pista sarda » diviene realtà a Firenze, comunque maturi sia essa frutto della reminiscenza del maresciallo Fiori, sia essa, invece, esito investigativo del messaggio di un anonimo, come sembra comunque escludere recisa- mente il giudice istruttore (198) (vedi anche infra §. 7.4).

    Il 20 luglio sulle colonne de «La Nazione» venne pubblicato il trafiletto che invitava il « cittadino amico » a rifarsi vivo, dopo che questo misterioso anonimo aveva offerto un contributo alle indagini. Il 22 luglio si ha una prima conferma dell’identità dell’arma che ha sparato a Signa e in occasione degli altri duplici delitti (199).

    Va notato che in fondo al messaggio al « cittadino amico » sulle colonne de « La Nazione » viene ripubblicato proprio l’identikit del possibile sospettato, composto in seguito alle prime indagini sul delitto di Calenzano dell’autunno 1981.


    1200px-Mostro_di_Firenze

    Pier-Luigi-Vigna-2-225x300

    chissà perché la procura ha tentato di nascondere quell'identikit
  10. .
    È poi sopraggiunta, sul finire della legislatura, la fondamentale audizione di Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1990 al 1993 che ha delineato, in termini di certezza, il complessivo coinvolgimento massonico in tutta la vicenda Narducci. (184)
    Il Prof. Di Bernardo, nel triennio in cui era Gran Maestro dell'Obbedienza del G.O.I., ricevette continue indiscrezioni circa il coinvolgimento di Narducci, anch’esso appartenente a tale obbedienza, nella vicenda dei duplici omicidi di coppie accaduti nelle campagne di Firenze e di Prato.
    Cercò di approfondire la questione che, evidentemente, era di estremo interesse per l’ambiente massonico e per i poteri di vigilanza che gli spettavano in relazione alla sua carica; Di Bernardo ricevette una pressante richiesta di colloquio da parte di un massone fiorentino che gli comunicava di essere a conoscenza di tutta la vicenda Narducci e di essere disposto a renderlo partecipe di quanto era venuto a sapere.
    Il personaggio fiorentino di cui Di Bernardo non ricordava il nome – ma che era conosciuto dai suoi collaboratori – non si presentò all’allora Gran Maestro che, in coincidenza con l’indagine della Procura di Palmi e con il maturato distacco dal G.O.I., decise di uscirne, fondando la Gran Loggia Regolare d’Italia, con riconoscimento britannico. Pertanto, l’incontro programmato non vi fu, comunque, non ne è stato divulgato il contenuto.
    Di Bernardo, ha tuttavia confermato quanto era emerso dalle indagini perugine circa il conflitto tra una componente massonica che invocava la trasparenza e che aveva come massimi esponenti l’Avv. Enzo Paolo Tiberi e il Prof. Mario Bellucci, entrambi deceduti e un’altra, attorno al capo del Rito Scozzese Antico ed Accettato, l’Avv. Augusto De Megni, che propugnava l’opposta soluzione, cioè un atteggiamento rigidamente negazionista, volto a sostenere che la morte di Narducci fosse dovuta ad « annegamento da probabile episodio sincopale ». Tale ultima soluzione è quella che prevalse . Di Bernardo ha confermato altresì che tutta la ritualità funeraria riscontrata all' esito della riesumazione della salma di Narducci era di impronta massonica e che si trattava di un « funerale massonico ». (185)

    Il Prof. Di Bernardo ha sottolineato, infine, come gli innumerevoli contrasti alle indagini avessero la stessa origine.


    Tale fondamentale dichiarazione avrebbe necessitato di ulteriori indagini volte a individuare il massone fiorentino che conosceva tutta la vicenda relativa a Francesco Narducci e si era dichiarato disposto a riferirne all’allora Gran Maestro e ai suoi collaboratori, ma la fine anticipata della legislatura lo ha impedito. L’accertamento, pur fondamentale, è rimasto così incompleto.


    Sempre più provvidenziale questa crisi di governo


    IL COLLEGAMENTO TRA IL DELITTO DI CASTELLETTI DI SIGNA E LA SUCCESSIVA SERIE DI DUPLICI OMICIDI IN DANNO DELLE COPPIE NELLA PROVINCIA FIORENTINA



    La Commissione ritiene di aver colmato delle lacune nella ricostruzione storica dell’intera vicenda dei delitti delle coppie riguardo uno degli snodi problematici più complessi dell’evoluzione delle indagini.

    Ha infatti operato una lunga e complessa attività di ricostruzione documentale (187) che riguarda vicende assai risalenti come, in particolare, quella del duplice delitto di Castelletti di Signa del 21 agosto 1968. È un episodio lontano nel tempo in relazione al quale è intervenuta una pronuncia ormai irrevocabile secondo la quale a compiere tale duplice delitto – il primo in cui venne impiegata la pistola calibro 22 che poi avrebbe ucciso altre otto coppie – sarebbe stato il marito sardo della vittima femminile, tale Stefano Mele. Ma alcune caratteristiche persono- logiche di costui, unitamente alla complessa dinamica del delitto hanno fatto sempre pensare agli inquirenti e ai giudici delle Corti di assise fiorentine che costui dovesse aver beneficiato come minimo della collaborazione di un complice. (188)
    Ed invero, presente nell’automobile in cui venne uccisa la coppia Locci – Lo Bianco era il figlio della donna, Natale Mele. Questi, mentre l’auto era parcata non lontano dal greto del fiume Vingone e le due vittime erano intente ad amoreggiare sui sedili anteriori, stava dormendo sul divano posteriore dell’auto. Ora, è qui inutile tornare sulle complesse e delicatis- sime questioni che hanno circondato le possibili ricostruzioni di questo duplice delitto, quello di cui indubbiamente si conosce il maggior numero di dettagli, tra quelli ascritti al c.d. « mostro di Firenze ». Certo è che questo evento delittuoso, per le ragioni che si andranno ad esporre, rappresenta una sorta di presupposto logico e investigativo rispetto agli altri successivi. In questa sezione della Relazione, occorre tenere conto dei due problemi principali che tale evento ha sempre proposto a chi ha tentato di comprendere l’intera catena delittuosa in danno delle coppie. Questo organismo di inchiesta parlamentare ha ritenuto di limitare la propria attenzione a due profili chiave che concernono il delitto di Signa, e così facendo, attraverso un’attività di consultazione documentale, ha potuto effettuare alcuni determinanti rilievi che consentono di gettare una nuova luce su quanto accadde in un anno cruciale per le indagini: il 1982.


    chi conosce bene la storia si annoierà un po'



    Con riferimento al duplice delitto di Signa, rileva ancora oggi domandarsi: a) se esso sia il primo delitto del « mostro » o se, invece, sia soltanto un delitto compiuto con la stessa arma che poi verrà impiegata per
    uccidere le altre giovani coppie, ma agita da mano diversa. Mentre la Commissione si andava interrogando su questo primo problema, da sempre oggetto – tra gli studiosi del caso (189) – di divergenti interpretazioni, si è imbattuta nella seconda questione: b) come si mise davvero in relazione il delitto di Signa con quelli accaduti successivamente, cioè a partire dal 1974 a Borgo San Lorenzo e poi fino ai due crimini compiuti nel 1981 a Mosciano di Scandicci e a Travalle di Calenzano, a quello del 1982 a Baccaiano di Montespertoli, e poi agli ultimi tre: a Giogoli, Vicchio e Scopeti.
    Ebbene, su questa secondo aspetto si sono sempre contese il campo due opposte tesi che possono contare su diversi argomenti a proprio sostegno. Secondo la tesi per così dire « ufficiale » fu grazie ad un ricordo di un sottoufficiale dell’Arma dei Carabinieri, Francesco Fiori, che si comprese, nel pieno dello snodarsi della catena omicidiaria in danno delle coppie, che il delitto di Borgo San Lorenzo del 1974 (di cui sopra si è detto con riguardo alle dichiarazioni rese da Angelo Izzo), non era quello d’esordio e che, invece, la stessa pistola aveva già sparato nei pressi del cimitero di Signa contro la coppia Locci – Lo Bianco, la notte del 21 agosto 1968.
    In sostanza, le cose sarebbero andate come segue. Il maresciallo Fiori, che nel 1968 prestava servizio proprio a Signa, si sarebbe rammentato di quel duplice delitto per cui era stato condannato, con sentenza irrevocabile, il marito della donna. Quando il maresciallo rappresentò ai suoi superiori gerarchici, tra cui il colonnello Olinto Dell’Amico, (190) il possibile collegamento di tale delitto con quelli del « mostro », personale dell’Arma (logicamente, si dovrebbe pensare allo stesso colonnello Dell’Amico) interessò il giudice istruttore di quel procedimento che, poiché l’arma utilizzata non era stata repertata, provvide al solo reperimento dei bossoli rinvenuti sul luogo del delitto di Signa. (191)

    Effettuato quindi il raffronto comparativo tra quei bossoli e quelli rinvenuti sui luoghi dei quattro duplici delitti del « mostro » che si conoscevano sino ad allora, si scoprì che l’arma che li aveva esplosi (rectius: espulsi) era sempre la medesima. Si apriva così la stagione della c.d. « pista sarda », cioè quel lungo periodo in cui gli inquirenti compirono attività investigative volte a comprendere chi fosse stato il complice del Mele nel duplice omicidio del 1968, sulla base dell’assunto che questi, trattenuta l’arma del delitto « primigenio », avesse poi intrapreso una campagna omicidiaria in proprio, aggiungendovi, di suo, una marcata componente maniacale che, invece, sulla scena del delitto di Signa era assente. Lo snodarsi della « pista sarda » determinò l’effetto, tra gli altri, di concentrare l’attenzione degli inquirenti sull’ambiente dei sardi emigrati in Toscana, tra i quali alcuni risultavano coinvolti in attività criminali di vario genere. Nell’ambito di tale contesto si ipotizzava che si potesse individuare il colpevole della violenta serie delittuosa.


    la vera domanda che non ci si pone mai su tutta la vicenda di Cittadino Amico è CHI potesse e avesse modo di sfruttare la pista sarda, se non Vigna e Zuntini. A questo ci si ricordi le dichiarazioni dell'antiquario amico di Vigna, Minghelli.

    Secondo una ricostruzione sviluppata in tempi recenti e mediante un’allegazione documentale di atti di indagine per lo più emersi grazie all’attività di ricerca di privati, studiosi e appassionati della vicenda, è emersa invece tutt’altra spiegazione dei fatti dell’estate del 1982, cioè di quanto accaduto nel tornante di tempo che andava dall’evento delittuoso di Baccaiano di Montespertoli (19 giugno 1982) fino al principio dell’autunno di quello stesso anno, quando il giudice istruttore Vincenzo Tricomi trasmise una rogatoria ai colleghi dell’Ufficio di Palermo, e in particolare al collega magistrato Rocco Chinnici.

    rendiamo sempre Grazia al De Gothia, sempre sia lodato

    Ebbene, secondo questa seconda impostazione ricostruttiva, non fu l’intervento del maresciallo Fiori ad innescare il collegamento tra il delitto di Signa e quelli fino ad allora attribuiti al « mostro », ma si trattò di un misterioso anonimo che invitò ripetutamente gli inquirenti ad « andarsi a rivedere » il fascicolo processuale del delitto di Signa del 1968 per il quale, come detto, era stato condannato in via definitiva Stefano Mele. È evidente che se questa seconda ipotesi fosse vera, ne discenderebbero importanti conseguenze sulla ricostruzione dell’intera vicenda, dovendosene inferire che: 1) un misterioso personaggio condusse gli inquirenti all’identificazione di un delitto per così dire « archetipico » e quindi ad orientare le indagini sul gruppo di persone che vi erano verosimilmente coinvolte; 2) gli stessi inquirenti, nel concentrare le loro attività investigative su quel primigenio delitto, trascurarono o comunque rinviarono l’analisi delle risultanze dei successivi duplici omicidi e, in particolare, di quello di Borgo San Lorenzo del 1974, sino ad allora ritenuto il primo della serie.

    QUESTO E' UN PUNTO CENTRALE DEL DEPISTAGGIO. Quando lo stesso Bevacqua interroga Bevilacqua al processo gli chiede dov'era nel 68, doveva chiedergli dove fosse stato nel 74.
    E se avesse risposto la verità, "ero arrivato pochi mesi prima, poco prima del delitto di Rabatta e dell'italicus" tutta la corte avrebbe aggrottato il sopracciglio. E' talmente evidente raga....



    Così pure venne trascurato quello di Baccaiano di Montespertoli del 1982, occorso pochi giorni prima della scoperta del presunto collegamento e peraltro caratterizzato da un parziale e rischioso fallimento dell’attacco del « Mostro », per via della disperata reazione della vittima maschile (192); 3) sarebbe lecito ritenere che l’anonimo che propose di collegare il delitto di Signa del 1968 alla serie dei delitti del « mostro » abbia compiuto un’opera di « impistaggio » o « depistaggio ».
    Nel primo caso, nell’ipotesi di « impistaggio », si dovrebbe trattare di una persona che sa che l’arma utilizzata per tutti i delitti, compreso quello del 1968, era sempre la stessa. Se ciò fosse vero, sarebbe persino probabile che il predetto fosse anche a conoscenza dell’identità dell’autore di tutti i delitti, (questo specie se l’autore del primo delitto del 1968 fosse anche colui il quale ha dato inizio alla serie maniacale dal 1974 in poi). Un’altra spiegazione dell'« impistaggio » potrebbe essere che l’autore dell’anonimo fosse proprio l’autore dei duplici delitti che intendeva così rivendicare a sé la paternità anche del delitto del 1968.


    Nel secondo caso, cioè l’ipotesi del depistaggio, potrebbe ritenersi che il suggeritore anonimo abbia voluto fuorviare gli inquirenti verso la « pista sarda », ove condurrebbe naturalmente il contesto ambientale del delitto del 1968, per distogliere da sé la direzione delle indagini. Questa ipotesi avrebbe senso, specie se si accoglie la prospettiva di un passaggio di arma tra chi deteneva la pistola con cui è stato effettuato il delitto di Signa (il complice di Stefano Mele) e chi, ricevutala, ne ha fatto uso nei delitti del « mostro » dal 1974 in poi. Il depistatore, in sostanza, volle probabilmente dirottare le indagini verso chi gli aveva « passato » l’arma utilizzata per il duplice omicidio di Signa del 1968.



    secondo voi?
  11. .
    Intanto possono così riepilogarsi le considerazioni fini qui svolte circa la genesi dell’interessamento degli organi inquirenti fiorentini e perugini verso la persona di Francesco Narducci:
    a) sicuramente vi fu, già nell’autunno del 1985, una certa eco della scomparsa del medico umbro, occorsa nell’ottobre di quell’anno sul Trasimeno;
    b) nell’ambito delle indagini sui delitti delle coppie vi furono alcune attività di controllo e verifica volte ad accertare se l’auto di Narducci fosse tra quelle registrate di passaggio presso uno dei posti di controllo del traffico ai caselli di ingresso e in uscita da Firenze;
    c) l’esito di tali attività di controllo – pur rimanendo dubbio e oggi difficilmente verificabile con certezza – potrebbe aver dato riscontro po- sitivo, a giudicare da diversi accadimenti e atti di indagine ulteriori che vennero effettuati su Narducci;
    d) tra questi atti vi fu di certo l’inserimento del nominativo di Narducci nella lista dei soggetti sospettati (c.d. Lista SAM) redatta nel 1987;
    e) negli atti risalenti al periodo che va dal 1985 al 1990, non vi è solo l’annotazione circa la verifica sul passaggio di Narducci al posto di controllo presso i caselli, ma anche una ulteriore attività investigativa, probabilmente riferita a verifiche sul possesso di armi o del porto d’armi;
    f) non appare probabile che le attività di controllo sul passaggio di Narducci abbiano avuto esito negativo, ma che poi sia stata lasciata un’annotazione come quella qui analizzata nel faldone presso cui si era svolta la ricerca;
    g) non del tutto plausibili appaiono le dichiarazioni rese dall’ispet- tore Sirico, nella parte in cui egli, autore dell’annotazione oggetto di analisi, non ricorderebbe nulla delle circostanze, delle ragioni e degli esiti della ricerca effettuata. Le perplessità sono dovute al fatto che, a tacer d’altro, il nome di Francesco Narducci non era tale da essere uno tra le migliaia, e ciò tanto all’epoca delle prime indagini (1985-1987), quanto nel 2004, quando un possente flusso investigativo fu posto in essere per ricostruire vita e morte del medico umbro.



    concordo sul punto g, che non è solo una misteriosa zona erogena :D

    Da ultimo, c’è da valutare l’ipotesi che l’intera vicenda della verifica sul passaggio al posto di blocco di Narducci, sia frutto di una qualche manipolazione. Ma tale evenienza sembra inverosimile. Innanzitutto, l'operazione di inquinamento dovrebbe farsi risalire agli anni del G.I.De.S., ovvero nel biennio 2003/2004. Alternativamente dovrebbe farsi discendere dalla fase originaria, cioè nel 1985 o nel 1987. Ma nessuna delle due ipotesi appare logicamente ragionevole. Non la prima, perché non si vede come un tentativo di asseverare la segnalazione avrebbe potuto spostare le cose in favore della tesi del coinvolgimento di Narducci nei delitti, data la labilità – sul piano processuale – della traccia su cui qui si ragiona. Tanto ciò è vero che il giudice Micheli, nella sua pronuncia poi annullata dalla Suprema Corte di cassazione, addirittura retrocede l’importanza della traccia del possibile passaggio di Narducci nei pressi di Firenze tra l’8 e il 9 settembre 1985, ad elemento da valutare per capire se il medico fosse in USA nei giorni di settembre di quell’anno. Si dovrebbe per assurdo pensare che un misterioso depistatore, visti i fatti del lago Trasimeno, abbia voluto ricamarci sopra depositando un appunto che riportava un dato non veritiero (quello del transito di FN), al fianco di uno (più o meno) vero – il suo « suicidio » o « morte misteriosa » che dir si voglia – per poi far sparire tutto il faldone dei transiti. Costui (o costoro) avrebbe(ro) fatto questo senza poi riportare il tutto (l’indizio del transito) nel fascicolo di Narducci (se fossimo nel 1987), oppure senza aprire la pista in modo forte o marcato su di lui (se fossimo, invece, nel tardo 1985).

    Beh intanto però i faldoni sono stati manomessi ed è sparito l'elenco, quindi il fatto che eventuali appunti siano stati apposti per depistare fin dagli anni 80 è molto meno plausibile di quel che si vuol lasciare intendere.

    Non resta che ipotizzare che il dato del transito (con tutta la sua valenza indiziaria) doveva esserci; che chi lo verificò ne prese atto con interesse, recuperando anche il foglio ove esso era annotato originariamente (che a quel punto contava non poco); poi quando la pista sembrò arrestarsi per la prima volta (1987), si lasciò il nome al numero 131 nella lista SAM, si perse ogni interesse alla cosa e ciò fece intervenire una certa trascuratezza sugli atti relativi che, oggi, a distanza di tempo appaiono di nuovo rilevanti (191-bis).

    Le nuove acquisizioni sulla morte di Francesco Narducci e i fatti del Trasimeno



    Dopo la conclusione dei due fondamentali procedimenti, sono sopravvenute ulteriori risultanze, che possono sintetizzarsi in tre gruppi di acquisizioni.
    In primo luogo, rilevano le dichiarazioni di Luciano Malatesta. !!!!! Si tratta del fratello di Milva (già amante, secondo Gabriella Ghiribelli, del mago Salvatore Indovino, uccisa insieme al figlioletto nel 1993) e Lucia Malatesta, nonché figlio di Renato Malatesta, defunto a seguito di sospette diciamo così modalità suicidiarie e di Maria Antonietta Sperduto.


    L’ambiente è proprio quello che faceva da contorno alle vicende del Mostro. Luciano Malatesta descrive l’ambiente familiare e le strane riunioni di tipo « magico esoterico » e si sofferma in particolare sulla propria v(181), abitante a mezzo chilometro dall’azienda dolciaria di Gianni Spagnoli (suocero di Francesco Narducci) a Sambuca Val di Pesa, che egli stesso vide salutare con effusioni il medico perugino in un giorno della fine di maggio o dell’inizio del giugno 1980. Il predetto Malatesta si presentò alla procura di Perugia e rese dichiarazioni che rimasero agli atti e non furono mai utilizzate per essere nel frattempo intervenuta la sentenza resa all' esito del giudizio abbreviato.


    Il 27 agosto 2010 si presentò, presso la procura di Perugia, tale Raspati Francesca che raccontò di essere amica di Alessandra Arioti, la figlia di Alfredo Arioti, magistrato che prestava servizio alla Procura Generale all’epoca della morte di Narducci, di cui risulta l’adesione alla massoneria e del quale già si è riferito in questa trattazione. La teste riferiva di avere raccolto le confidenze di Alessandra che sembrava terrorizzata da un non ben identificato gruppo che avrebbe potuto compiere atti di violenza contro entrambe se lei

    non si fosse adoperata per far ritirare dalla circolazione un libro che trattava della vicenda Narducci. Comunque, le si chiedeva di attivarsi per non figurare più in quel libro, come « testimone ». La Raspati, infine aggiunse:


    «Nel corso dei miei colloqui con Alessandra, la stessa mi ha ripetutamente accennato ad un episodio avvenuto nei giorni della scomparsa del prof. Narducci e più precisamente il giorno in cui trovarono il cadavere. In particolare, Alessandra mi ha detto tante volte che, quando fu trovato il cadavere, Ugo Narducci, padre di Francesco, chiamò suo padre Afredo Arioti. Questo avvenne in un pomeriggio, questo mi ha riferito Alessandra. Lei ha aggiunto che ricorda bene che suo padre Alfredo, nel parlare con Ugo Narducci, faceva riferimento alla lettera ritrovata nella finestra della casa di San Feliciano e al fatto che il cadavere dovesse essere portato non all’obitorio ma a San Feliciano. Lei ha sempre ripetuto di ricordarsi benissimo di questa telefonata. Questo è quello che lei ricorda alla perfezione. In pratica, il padre parlava con Ugo Narducci di queste cose, alla presenza di Alessandra. La stessa mi ha poi confidato che, finita quella telefonata, lei chiese al padre di cosa si trattasse e quest’ultimo le disse che aveva parlato con Ugo Narducci e che era stato ritrovato il cadavere di Francesco, ma le intimò di non farne parola con nessuno. Alessandra mi ha anche detto di essere tornata più volte sull’argomento col padre, ma di essere stata sempre costretta a non parlarne. Non so dirle fino a quando Alessandra rivolse queste domande al padre, so soltanto che lo fece in più occasioni ricevendo sempre le stesse risposte. Queste cose Alessandra me le ha dette all’inizio di quest’anno e me le ha sempre confermate.... Aggiungo anche che lo scorso mese di luglio, ho avuto modo di incontrare Nazzareno MORETTI, che è il titolare dell’impresa funebre che opera nella zona di Magione ed Ellera. Nel corso del nostro incontro, incuriosita da questa vicenda, gli ho chiesto se fosse stato mai sentito dal P.M. e lui mi ha risposto di essere stato sentito più volte e che la mattina in cui fu trovato il cadavere a Sant’Arcangelo, lui si raccomandò affinché venisse presa una bara più grande del solito perché le dimensioni di quel cadavere erano sopra la norma. Di questo si ricorda benissimo, come si ricorda di tutte le stranezze, così le chiamò, che erano avvenute nel trasporto, compreso il fatto che il Questore era nel suo carro funebre durante il trasporto del cadavere verso l’obitorio e che, a un bivio, il carro funebre fu fermato da una persona che lo fece deviare verso la villa di San Feliciano dei Narducci. Nazzareno mi ha anche detto di essere rimasto offeso dal fatto che, portato il cadavere nella villa di San Feliciano, fosse subentrata alla sua un’altra impresa funebre ».



    Ulteriori apporti alla ricostruzione della vicenda sono giunti da Giuseppe Dell’Amico, figlio del Colonnello dei Carabinieri Olinto Dell’Amico, che era stato Comandante del Nucleo Investigativo del Comando Gruppo Carabinieri di Borgo Ognissanti, di Firenze e si era interessato, tra l’altro, alla sequenza criminale, ufficialmente iniziata il 22 agosto 1968, con l’omicidio Locci – Lo Bianco. L’ufficiale trasmise alla procura della repubblica di Perugia svariati rapporti, che iniziavano con l’acronimo « C.O.A.L. » ed in essi aveva riferito delle confidenze fattegli dal padre.

    In particolare, rappresentava che Narducci, frequentatore di un casolare nella zona di San Casciano, avrebbe coltivato una profonda amicizia con un non meglio precisato « medico svizzero » e, insieme ad altri, sarebbe stato coinvolto nel delitto di Scandicci del 1981 e poi nell’ultimo della serie, quello nella piazzola degli Scopeti, dopo il quale il giovane medico, oppresso dai sensi di colpa e anche dalle richieste estorsive che sarebbero pervenute a suo padre, si sarebbe suicidato, con il contorno di falsificazione di atti e del « doppio cadavere ».

    La ricostruzione dei fatti operata da Giuseppe Dell’Amico, sulla base delle confidenze fattegli, è stata riversata in un opuscolo dato allo stampe. l titolo « Mostro di Firenze. La vera storia (1968 – 1985...2012) », Enigma Edizioni.

    Come già esposto Gaimpiero Vigilanti ha confermato sia la conoscenza e la frequentazione con Narducci che il fatto che fosse in sua compagnia in prossimità temporale di uno dei delitti, quello avvenuto presso Travalle di Calenzano.

    Izzo, da parte sua, ha confermato di essere entrato in contatto con il medico perugino, nell’ambito della frequentazione di sétte di tipo magico – esoteriche (183), e di avere ricevuto dallo stesso confidenze particolareggiate sul delitto del 1974, quando non era ancora emerso il carattere seriale dell’episodio e, soprattutto, di avere partecipato con lui, nella villa di San Feliciano di Magione, al « sacrificio » di Rossella Corazzin, uccisa quindi in quel luogo dopo essere stata rapita in Cadore.

    6.6 L’attività della Commissione Parlamentare Antimafia con riguardo alle dichiarazioni rese da Angelo Izzo




    Nel corso dell’attività della Commissione, sono stati auditi Angelo Izzo e lo stesso Vigilanti, il primo presso la casa circondariale di Velletri, nell’ottobre 2021, mentre il secondo in data Gli stessi hanno confermato i riferimenti fatti al Narducci e meglio descritti sub 2. e 9.

    Sono stati sentiti anche Cesare Agabitini, custode dell’Isola Polvese e il figlio. Entrambi hanno confermato le precedenti dichiarazioni rese nelle indagini perugine e si sono soffermati su alcuni dettagli che oltre si illustreranno per la loro rilevanza.

    È stato sentito altresì, tra gli altri, il Dr. Andrea Pucci, figlio di Mario Pucci, redattore capo de « Il Secolo d’Italia ».
    Lo stesso ha confermato quanto dichiarato, a suo tempo, e che, per comodità, si riporta:


    « ricordo che ero alla redazione romana de “Il Giornale” quando, mi pare nel gennaio-febbraio 1988, una fonte appartenente al Ministero della Difesa, mi informò che, nell’ambito delle indagini sul c.d. “Mostro di Firenze”, la Procura di quella città aveva chiesto accertamenti al Ministero della Difesa per conoscere la posizione del medico perugino Francesco Narducci in ordine agli obblighi di leva. La fonte ignorava che il Narducci fosse morto. La cosa mi sembrò interessante e, dopo aver informato il capo
    (182) l titolo « Mostro di Firenze. La vera storia (1968 – 1985...2012) », Enigma Edizioni.
    (183) Indicare quali.

    della Redazione romana, all’epoca Guido Paglia, venni a Perugia circa due o tre giorni dopo. Non avevo indicazioni particolari. Sapevo solo che il Narducci era medico. Mi recai, allora, all’ospedale di Monteluce, dove chiesi di lui, ma tutti mi guardavano sbigottiti perché non sapevo che era morto da circa tre anni. Mi indirizzarono dal primario del reparto dove lui aveva operato, il prof. Morelli, a cui chiesi del Narducci e gli dissi che erano in corso delle indagini su di lui. Il Morelli, stupito che io ricercassi il Dr. Narducci, mi disse che era stato trovato cadavere nel Trasimeno tre anni prima. Il Prof. Morelli sembrava ancora turbato da quella vicenda. In sostanza, mi disse che un giorno il Narducci aveva lasciato improvvisamente l’ospedale, era saltato sulla sua moto, si era portato alla villa che aveva nei pressi del Lago Trasimeno, nella Frazione San Feliciano di Magione e che poi aveva preso il suo motoscafo ed era stato ritrovato morto nel lago alcuni giorni dopo. Ricordo che il Morelli faceva visibilmente fatica a parlare, tanto era emozionato. Una cosa che mi colpì fu che il Morelli era come se si aspettasse che qualcuno avrebbe fatto degli accertamenti sul conto del Narducci, tanto che, a un certo punto, il medico mi confessò che quella morte era strana e che era ora che qualcuno facesse luce su quella vicenda. Rimasi deluso dalle notizie che mi aveva dato il Morelli, in particolare dal fatto che il Narducci fosse morto, perché giornalisticamente parlando, la pista sembrava sfumata. Nonostante ciò, buttai là qualche domanda sul personaggio e cioè come fosse fisicamente, se sapesse sparare, se avesse fatto il militare, se fosse uno sportivo, se andasse in motocicletta per fare motocross e se facesse il sub, se fosse sposato e come fosse la sua famiglia.
    Il Morelli tratteggiò bene la figura del Narducci, parlandone in termini lusinghieri e, quasi a conforto delle sue affermazioni, chiamò un altro medico che seppi poi essere il Prof. Farroni, un medico robusto con i baffi, che mi sembrò invece infastidito delle mie domande. L’approccio con lui non fu positivo perché appariva molto duro. Mentre il Morelli mi tratteggiò il quadro familiare e matrimoniale del Narducci, il Farroni, piuttosto infastidito e polemico, manifestò la sua meraviglia per la mia presenza e disse che non c’era nulla da indagare sul Narducci. Stupito dall’atteggiamento del Farroni che si vantava di essere stato il migliore amico del morto e di essere stato della sua cerchia, ripetei a questo medico le domande che avevo già fatto al Morelli. Il Farroni mi rispose, dicendomi che il Narducci odiava le armi e che non le aveva mai viste, che era una persona tranquilla, che non aveva fatto un solo giorno di servizio militare perché il padre era riuscito ad evitarglielo e che si trattava di una persona fisicamente perfetta e molto abile negli sport, special- mente nel tennis, così mi pare. Mi disse anche che era sposato con una Spagnoli, che non aveva figli. In sostanza, mentre il Morelli appariva turbato e curioso in merito alla vicenda del Narducci, il Farroni cercava di minimizzare e considerare la cosa priva di risvolti strani. Mi congedai, piuttosto deluso dai due, ritenendo chiusa la questione e ripromettendomi di chiamare la fonte per metterlo al corrente del fatto che il Narducci era morto. Contattai la fonte da una cabina telefonica fuori dall’ospedale e raccontai l’accaduto, ma il mio interlocutore mi disse che l’accertamento disposto dalla Procura di Firenze aveva avuto esito positivo ed era risultato che il Narducci era stato per un mese alla Scuola di Sanità Interforze di Firenze, nel periodo coincidente
    NOMELAV: DOC - GAAP PAG: 77 SESS: 2 USCITA: Fri Nov 04 15:22:00 2022 //LEG18/DOCS/doc_023/023n037_Sezione9
    Senato della Repubblica – 77 – Camera dei Deputati XVIII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI - DOC. XXIII, N. 37 (SEZ. IX)
    con il delitto del 1974, avvenuto nei pressi di Borgo San Lorenzo, quello in cui alla ragazza era stato infilato un tralcio di vite nella vagina. Chiesi alla fonte perché avesse fatto solo un mese e l’interlocutore mi disse che era stato riformato per “marcescenza ai piedi”. La cosa mi colpì profondamente sia perché la Scuola di Sanità di Firenze è un corso per allievi ufficiali, sia perché mi sembrava impossibile che uno che si definiva tra i migliori amici del Narducci, ignorasse un particolare del genere. Incuriosito, tornai all’interno dell’ospedale ma non riuscii ad avere un secondo colloquio con i medici. Forse, allora, feci la verifica sulle presenze del medico in Ospedale. Mi recai, allora, al cimitero per sapere quando era morto il personaggio e lì vidi la data del 13 ottobre 1985. Questa data mi colpì perché la morte era avvenuta poco più di un mese dopo l’ultimo dei duplici omicidi, quello degli Scopeti. Mi recai poi al “Corriere dell’Umbria”, per vedere cose era stato scritto sulla morte del personaggio. Chiesi alla segretaria della redazione di poter visionare le copie del giornale del mese di ottobre 1985. Mentre le stavo consultando, sopraggiunse il giornalista Mino de Masi che mi chiese incuriosito che cosa mi interessasse ed io gli dissi vagamente, per non scoprirmi, che dovevo prendere informazioni sulla morte di un medico. A quel punto il De Masi commentò che quel mese di ottobre 1985 fu un mese molto turbolento. Mi riferì che si ricordava molto bene della morte del Narducci, perché aveva capito che si trattava proprio di lui. Mi disse che in quel periodo accadde di tutto e che una sera l’allora Direttore, Mastroianni, piombò in redazione e ordinò che venissero fermate le rotative perché una sua fonte gli aveva detto che da Firenze stavano per arrestare a Perugia il “Mostro di Firenze” che era un medico perugino. Mi disse che le rotative rimasero ferme fino a tardi, in attesa della notizia ma non accadde nulla ed il lavoro riprese come se niente fosse accaduto. Il De Masi aggiunse, poi, che un giorno o due dopo l’episodio delle rotative, scomparve il Narducci. Con il De Masi, che si occupava della “nera”, iniziammo un colloquio in cui io cercavo di carpire notizie stando attento a non dire che ero là per il Mostro di Firenze. Il De Masi mi parlò del matrimonio del Narducci, dicendomi che non avevano figli e mi riferì che il padre del morto era un noto ginecologo che operava a Foligno. Decisi, allora, di rimanere a Perugia e di svolgere un’indagine sulla vicenda e, per prima cosa, mi recai il giorno dopo a San Feliciano dove parlai con un certo Trovati, titolare della darsena, che aveva visto per l’ultima volta il Narducci. Il Trovati mi disse che il Narducci era arrivato alla darsena in moto per prendere il motoscafo, cosa alquanto insolita, sia per la stagione, sia perché l’estate precedente non si era mai visto al lago. Mi disse anche che il Narducci andava molto di fretta e anche questo l’aveva colpito, come anche il fatto che il medico prendesse l’imbarcazione quasi all’imbrunire. A quanto ricordo il Trovati mi disse che erano circa le 18 quando si presentò alla darsena il Narducci per prendere l’imbarcazione. Mi aggiunse, poi, che aveva visto il Narducci dirigersi con il motoscafo verso l’Isola Polvese. Il Trovati mi descrisse anche il modo come il Narducci era vestito, con un giubbotto, una camicia e la cravatta.
    Mi recai poi dal becchino, un certo Moretti, che aveva partecipato alle operazioni di recupero del cadavere e che l’aveva messo nella cassa. Il Moretti mi raccontò che il cadavere era estremamente gonfio, nero ed irriconoscibile, che non gli fu fatta l’autopsia e che il carro funebre con il corteo di macchine nel quale si trovava anche il Questore, diretto verso Perugia, fu bloccato da una giovane donna che credo fosse la cognata del morto, che intimò al Moretti di invertire la marcia e di raggiungere la villa di San Feliciano, esclamando: “il papà lo vuole a casa !”, o qualcosa del genere. A tale intimazione, il Questore acconsentì e il corteo, dopo aver fatto retromarcia, si portò nella direzione indicata. Il Moretti sottolineò, per ben due volte e con decisione, che non era stata fatta l’autopsia, esclamò: “Assolutamente no !”. Forse il corteo si dirigeva verso la Medicina Legale per l’autopsia, ma la cognata del Narducci lo fece tornare indietro.
    Parlai poi con il pescatore che aveva ritrovato il cadavere, un certo Baiocco, il quale mi disse che il corpo del Narducci era gonfio come un pallone, nero nero nero, con la mano destra sul petto. Mi pare che il Baiocco mi disse che il cadavere non aveva la cravatta e sottolineava soprattutto il colore nerissimo del cadavere ed il fatto che sul molo vi fosse un insolito spiegamento di forze. Il Baiocco addirittura ricordava che non solo vi erano Polizia e Carabinieri in forze ed il Questore, ma anche un elicottero ed addirittura i Magistrati di Firenze. Ricordo esattamente che l’uomo disse: “quel giorno venne di tutto, anche gli elicotteri e c’erano anche i Magistrati di Firenze !”. Ciò era del tutto anomalo per un annegato nel Lago Trasimeno, secondo quanto mi disse il Baiocco. Qualcuno, non so se il Moretti o il Baiocco, mi disse addirittura che il padre aveva abbracciato e baciato in bocca quel cadavere.
    Ricordo che nei giorni in cui mi trattenni nella zona del lago, venni a sapere che il Sostituto fiorentino, Silvia Della Monica, teneva, all’epoca dei delitti, delle lezioni a cui aveva partecipato qualcuno dei Carabinieri che si trovavano a Magione o a Passignano e dedussi che potevano esservi state delle indiscrezioni sul fatto che la Dr.ssa della Monica facesse parte del pool di magistrati che si occupavano dei delitti del “Mostro” e che quindi il Narducci avrebbe forse potuto essere venuto a conoscenza del particolare, riservato, e avrebbe potuto così inviare alla Dr.ssa Della Monica la nota missiva con il reperto dell’ultima vittima.
    Nel corso della mia indagine, mi resi conto che vi erano molti aspetti della vita del Narducci che collimavano con il quadro che ci eravamo fatti del possibile omicida. Poco prima di terminare la permanenza a Perugia, tornai in ospedale e chiesi i registri di presenza del Narducci a Gastroenterologia o forse lo feci all’inizio della mia permanenza. Preciso che non si trattava di un turno di Pronto Soccorso e che la presenza in loco era compatibile con assenze di due-tre ore circa. Esaminando il registro delle presenze, notai che, in occasione dei duplici omicidi, il Narducci fu presente in Gastroenterologia, mi pare, in occasione del delitto dei due tedeschi, mentre risultava assente negli altri casi, almeno così ricordo. Purtroppo, gli appunti li ho distrutti. Aggiungo che quando, all’inizio parlai con Morelli, questi mi disse che il Narducci aveva in programma un convegno di gastroenterologia, o comunque medico, in cui lui avrebbe dovuto intervenire. Qualche giorno dopo essermi recato al lago, andai a Foligno per incontrare il padre del medico morto. Lo andai a trovare all’ospedale e gli rivelai il motivo per cui ero lì, precisandogli che erano in corso indagini da parte della Procura di Firenze che sospettava che suo figlio fosse il “Mostro di Firenze”. Il Prof. Ugo non batté ciglio e mi invitò a seguirlo nel suo studio. Quando seppe che ero un giornalista de “il Giornale”, lui mi disse che era un lettore di quel quotidiano. Il ginecologo era molto aperto, pacato e desideroso di parlare della cosa. Gli chiesi se suo figlio avesse fatto il servizio militare e lui mi disse che lo aveva fatto per un mese a Firenze, poi mi confidò che si era attivato per farlo riformare, tramite suoi amici. Gli chiesi anche se suo figlio avesse praticato la caccia e lui mi rispose: “Come no ! Fin da piccolo lo portavo a caccia con me”. Mi pare che il Prof. Ugo mi disse anche che suo figlio Francesco frequentava il poligono di Umbertide. Non ricordo se fu il Prof. Ugo a dirmelo, ma sicuramente venni a sapere, nel corso della mia indagine, che Francesco Narducci si allenava con una Beretta calibro 22 nel poligono citato.

    Mi pare che questo particolare me lo riferì proprio il padre. Chiesi al Prof. Ugo se il figlio avesse mai avuto una macchina rossa e lui mi rispose che gli aveva regalato una Mini Minor rossa per la laurea o per la licenza liceale. L’uomo era inaspettatamente aperto e disponibile al colloquio con me e non manifestò mai il disappunto per quello che io gli avevo riferito; mi fece capire che vi erano stati dei problemi tra il figlio e la moglie a causa della mancanza dei figli e dimostrò un singolare senso di protezione nei confronti di sua moglie che mi pregò di non coinvolgere nella vicenda. Non approfondii altri aspetti perché ero convinto, vista la qualità e l’importanza delle notizie raccolte, che sarei dovuto tornare a Perugia per completare il servizio, ma prima il capo della redazione romana e poi l’allora direttore de “Il Giornale” Indro Montanelli, decisero che non se ne facesse nulla ed io non me ne sono più occupato ».



    Sono state svolte anche attività di indagine resesi necessarie da dichiarazioni o interviste di un qualche interesse apparsi sui forum e blogs che si interessano della vicenda, ma tali attività sono state interrotte dall’anticipata cessazione della legislatura



    CHISSA DI CHI STA PARLANDO?!
  12. .
    Urge a questo punto, affinché il lettore possa meglio orientarsi in questa ricostruzione ritenuta dalla commissione antimafia credibile, ricordare brevemente che "tutti i circuiti satanisti sono in contatto tra loro" (Cit. Prof. Cecilia Gatto Trocchi) e bisognerà almeno citare questi articoli di Massimo Introvigne, che fanno una buona panoramica sulla storia, le connessioni e le differenze tra i vari satanismi.
    Dove è anche citato questo gruppo dei nove angoli.

    "Tra i gruppi satanisti "occultisti" il più grande (circa 2.000 membri) potrebbe essere l'Ordine dei Nove Angoli (ONA), fondato in Inghilterra nel 1970 da "Anton Long", ampiamente ritenuto uno pseudonimo del famigerato neonazista britannico DavidWilliam Myatt. Dichiara che ora ha rifiutato il nazismo. L'ONA è apertamente satanista e celebra la propria versione della Messa Nera. È anche un'organizzazione segreta, poiché sostiene che il terrorismo sia uno strumento valido per inaugurare il nuovo Eone Nero, sebbene non sia chiaro se abbia commesso crimini reali."
    https://bitterwinter.org/4-contemporary-sa...t-and-theistic/

    Si tenga bene a mente: Il fatto che le informazioni di Izzo siano "credibili" non significa che siano necessariamente vere, come spiega la stessa commissione. Proseguiamo.


    I riferimenti fatti da Izzo potrebbero essere parto delle sue ricerche o potrebbero essere conseguenza di conoscenze acquisite da terzi, magari in carcere; tuttavia, non può escludersi che possa aver appreso effettivamente tale circostanza da Narducci. Conseguentemente si presenta il problema del possibile coinvolgimento del medico perugino nel duplice omicidio del 1974, che potrebbe – secondo alcune ipotesi meglio illustrate nel prosie- guo – rappresentare la genesi della serie di omicidi comunemente deno- minati i delitti del « mostro di Firenze ». (20)
    Non può sottacersi ai fini di valutare l’attendibilità di Izzo che, intorno agli anni Novanta o verso i primi anni Duemila, egli ebbe a ricevere nel carcere di Paliano ove era detenuto, la visita della giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi (21) che era nota per la sua approfondita conoscenza della setta della « Rosa rossa ». D’altro canto, tuttavia, ella non sembra essersi mai occupata dell’altra setta, quella dei « Nove Angoli ». Quindi, sul punto rimane un’incertezza di fondo riguardo l’origine della conoscenza di quanto riferito da Izzo in ordine a queste sètte e non può, dunque, escludersi che il racconto dell’audito corrisponda, in tutto o in parte, al vero. In sintesi, rimane plausibile l’ipotesi che Narducci possa essere stato, in qualche misura, coinvolto nei delitti del « mostro di Firenze », così da fornire particolari dettagliati in ordine al primo di questi (se si esclude, come si chiarirà oltre, il duplice delitto del 1968 avvenuto a Signa). L’ipotesi del coinvolgimento del Narducci in tale vicenda è stata, in ogni caso, accolta come possibile dall’ordinanza del GIP perugino Marina De Robertis, nel procedimento n. 1845/08/21 RGNR della Procura Perugia.


    (18) Per un approfondimento sul tema, cfr. « Le religioni in Italia », a cura di Massimo
    Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, www.cesnur.com, alla voce « L’ordine dei nove angoli ». N.B. E' la stessa commissione antimafia che consiglia i testi del citato sopra Introvigne
    https://cesnur.com/il-satanismo/lordine-dei-nove-angoli/

    L’ipotesi appare, comunque, probabile per il fatto che Izzo non ha mostrato, nel corso delle sue dichiarazioni, particolare interesse per gli aspetti « esoterici » asseritamente narratigli dal Narducci, il che induce a ritenere che della setta della « Rosa rossa » e di quella dei « nove Angoli » egli abbia appreso da terzi.
    Un’altra circostanza che appare possibile e finanche verosimile è l’incontro che Izzo racconta di aver avuto con il medico perugino nella chiesa templare di San Bevignate di Perugia, che è situata assai vicino al cimitero comunale. Ora, i luoghi e l’interno della chiesa sono descritti da Izzo con discreta precisione, se si tiene conto del fatto che l’episodio riferito si sarebbe verificato in epoca risalente a quasi cinquant’anni prima, difficilmente avrebbe potuto visitare quella chiesa e i dintorni di Perugia. D’altro canto non appare ragionevole che ciò abbia fatto nel periodo in cui si rese latitante a seguito dell’evasione che lo vuole protagonista nel 1993.


    E più che un evasione, ricordiamolo, fu una vera e propria fuga organizzata da un procuratore, "quello che conta" come lo chiama Vanni. Non dimentichiamo le parole di una vittima di quel mostro, la Donatella Colasanti

    https://www.donnamoderna.com/news/societa/...sta-angelo-izzo

    Schermata_2022-11-15_alle_09
  13. .
    Finalmente si comincia tutti a capire e vederla nello stesso modo. Riporto un post di Samuele che riporta un altro post

    Riporto un recente post su Facebook di Federica Francesconi.

    "Una domanda ai capoccioni della controinformazione, molti dei quali si sono candidati alle elezioni del 25 settembre: come mai non vi state occupando dell'inchiesta della Commissione bicamerale antimafia sul Mostro di Firenze, le cui conclusioni sono state deposte e rese pubbliche da più di una settimana?
    Cosa si dice di così terrificante nell'inchiesta al punto da essere snobbata non solo dall'informazione di regime ma anche dalla controinformazione?
    In sintesi: gli omicidi che in passato sono stati ascritti a un killer solitario, il Mostro di Firenze appunto, sono in realtà da attribuire a pezzi deviati dello Stato. Membri delle Forze dell'Ordine, Magistratura, mondo della politica, medici, hanno sistematicamente compiuto omicidi, una trentina circa in un arco temporale di 20 anni, probabilmente per finalità di magia nera. I feticci asportati dalle coppie uccise erano utilizzati in rituali di magia nera. Per mettere a tacere lo scandalo sono state uccise decine di testimoni chiave che nei processi avrebbero potuto ribaltare la verità giudiziaria e scagionare i tre minus habens accusati di essere i mostri e condannati in via definitiva (Pacciani, Lotti e Vanni). L'organizzazione a delinquere che ha commesso gli omicidi ha potuto agire indisturbata e sfuggire alle indagini grazie alle coperture, agi insabbiamenti di cui ha potuto godere all'interno degli apparati dello Stato, in particolar modo all'interno della Magistratura e dei Servizi segreti. Parliamo di personaggi che all'interno della società italiana occupano posizioni altolocate, come riconosce la stessa Commissione antimafia, dunque con gli strumenti intellettuali ed operativi per sviare le indagini ed influenzare, quand'anche minacciare e ricattare, gli inquirenti che indagavano.
    No, non è la trama di un film hollywoodiano ma il verdetto a cui giunge la Commissione parlamentare d'inchiesta in 120 pagine di orrori su orrori (link del documento nei commenti in basso). Mi meraviglio che i grandeur della controinformazione, impegnati a scannarsi tra di loro per ottenere il primato nella rappresentanza dell'area del dissenso, non ne abbiano parlato. Anzi, a dire il vero non mi meraviglia per niente. L'unico che ne ha parlato è stato il buon Fabio Frabetti nella trasmissione Border Nights. Per il resto silenzio totale.
    La strategia della tensione non è mai finita, non si è solo rivestita di terrorismo politico, rosso e nero. La strategia della tensione è stata anche Gladio e il Mostro di Firenze. Il gruppo che ha materialmente organizzato gli omicidi riconducibili al Mostro di Firenze, essendo rimasto impunito, probabilmente è ancora attivo, anche se non uccide più coppiette che si appartano.
    Questo paese è un buco nero in cui è finita ogni sorta di nefandezza ed è al centro dell'attenzione dei servizi segreti di mezzo mondo. Perché l'Italia non è un posto qualsiasi. L'Italia è situata in una posizione energetica potentissima. Tutto quello che accade sul nostro territorio dal punto di vista energetico è amplificato cento volte rispetto ad altri paesi. La vicenda del Mostro di Firenze, con quelle caratteristiche occultistiche confermate anche dalla Commissione parlamentare, poteva accadere solo in Italia.
    Chi vuol capire capirà. Gli altri che si fregiano dell'aureola di dissidenti possono continuare a scannarsi tra di loro".

    Professoressa Federica Francesconi.

    Questo è il secondo video che Aurum e Fabretti dedicano alla commissione, che vi linko


    https://www.parlamento.it/application/xman...KIcVEFnfD4_Vd1c
  14. .
    Mentre ascolto e cerco il pezzo di Mignini in questione, intervista di cui comunque già raccomando l'ascolto per comprendere certi personaggi, vorrei che il pubblico meglio comprendesse non solo il background di JB, ma anche di Westmoreland la cui dottrina ci sembra essere la prova della vera P1, gli United States Of America.
    Riporto, integralmente, dal https://osservatorioglobalizzazione.it/oss...usa-libro-nero/


    Il libro nero dei crimini statunitensi in Vietnam



    Sono innumerevoli le atrocità che furono commesse in Vietnam da parte degli Stati Uniti. In queste pagine cercheremo di offrire al lettore una rassegna abbastanza indicativa che tuttavia non può essere esaustivo ma sufficiente perché il lettore si renda conto che la guerra teorizzata dai manuali di scienze strategiche e nelle asettiche aule universitarie e dei centri di ricerca è una cosa la guerra reale è tutt’altra cosa. Il testo al quale faremo riferimento è quello di Nick Turse autore del saggio “Così era il Vietnam. Spara a tutto ciò che si muove” (Piemme,2015). Partendo dai risultati posti in essere sia dalla Scuola di medicina di Harvard che dall’Istituto di medicina della Università di Washington le vittime complessive durante la guerra del Vietnam furono di tre milioni dei quali due tra la popolazioei civile.

    Il saggio del giornalista americano non si basa solo sui documenti segreti che vennero prodotti dal Vietnam War Crimes Working Group ma anche su numerose interviste fatte da Turse ai reduci del Vietnam. Naturalmente gran parte degli atti processuali o delle indagini che vennero condotte dall’ esercito e dai marines sui crimini di guerra commessi durante la guerra del Vietnam sono scomparsi.

    Questo saggio dovrebbe essere letto in parallelo alle inchieste che furono fatte a partire dall’articolo di Norman Poirier dal titolo “Un’atrocità americana” pubblicato su “Esquire”, a partire dal resoconto di Daniel Lang sul Times nell’ottobre del 1969 intitolato “Vittime di guerra “ e infine dalle inchieste sugli avvenimenti di My Lai pubblicati da Seymour Hersch nel 1969.

    Inutili furono i tentativi di insabbiamento da parte dei vertici politici e militari americani come dimostra chiaramente l’esito fallimentare della task force – nota come Cowin – voluta dal generale Westmoreland. Ma fu certamente l’Associazione dei reduci di guerra che arrivò a contare circa 10.000 membri all’inizio degli anni ‘70 che ebbe modo di rivelare le atrocità commesse durante la guerra del Vietnam. Quando nel marzo del 1971 sul Times apparve il saggio di Neil Sheehan – un ex reduce dell’esercito che aveva trascorso tre anni come corrispondente di guerra nel sud-est asiatico – con un titolo choc ma significativo: “Dobbiamo celebrare i processi sui crimini di guerra?” e Daniel Ellsberg pubblicò i Pentagon Papers le responsabilità dei vertici politici e militari furono chiare . Come ebbe modo di sottolineare la Commissione internazionale di inchiesta sui crimini statunitense in Indocina che si riunì a Oslo nel 1971: “i crimini commessi in Indocina non sono il risultato di azioni di singoli soldati ufficiali ma sono la conseguenza delle strategie a lungo termine portata avanti dagli Stati Uniti nel sud-est asiatico, e il fardello della responsabilità deve essere addossato principalmente su chi ha deliberato tali decisioni“.

    I souvenir dell’orrore e l’addestramento militare
    Partiamo dalla costatazione – non quindi dall’assunto – che i soldati americani trattavano i vietnamiti come essere subumani. Dimostrare la credibilità di questa tesi è estremamente e drammaticamente agevole. Il figlio del celebre generale Patton – e cioè Patton junior – era conosciuto dalle truppe americane per un macabro souvenir che era solito tenere sulla scrivania e cioè un teschio di un soldato vietnamita che portava con sé addirittura alle feste di addio o al termine dei suoi turni di servizio; alcuni soldati semplici invece tagliavano le teste ai soldati morti per tenerle, venderle o scambiarle con i premi che i comandanti offrivano loro. Tuttavia, molto più numerosi erano quei soldati che tagliavano le orecchie alle loro vittime utilizzandole come trofei donati ai superiori come regali o come prove per confermare il numero dei nemici abbattuti. Esistono tuttavia casi in cui le reclute conservavano le orecchie dei soldati uccisi portandole al collo con dei lacci o esibendoli in qualche altro modo.

    Un altro macabro rito era quello praticato da alcuni reparti americani che tagliavano le teste dei cadaveri piazzandoli in cima o a delle aste o a dei pali con lo scopo di terrorizzare i guerriglieri che abitavano nelle zone limitrofe.

    Un’altra pratica usata con una certa frequenza era quella di lanciare i cadaveri dagli aerei per determinare un effetto psicologico di terrore.

    Quest’innumerevoli atrocità erano anche il risultato dell’addestramento militare che aveva scopi precisi. Partendo dal fatto che gran parte dei soldati che combattevano in Vietnam non avevano più di vent’anni, questi venivano sottoposti a intensi stress psicofisici allo scopo di creare una vera e propria tabula rasa che avrebbe facilitato l’indottrinamento militare. Le loro giornate duravano circa 17 ore e ogni dettaglio della loro vita era prestabilito. Insomma, l’addestramento militare mirava ad una vera e propria spersonalizzazione con rapporti sociali forzati, giornate sovraccariche di lavoro, disorientamento e successivo riorientamento in base ai codici militari. L’umiliazione psicologica e la sofferenza fisica facevano parte dell’addestramento. Uno degli slogan maggiormente usati durante l’addestramento era quello di uccidere senza pietà. Un’altra tecnica di spersonalizzazione era naturalmente relativa ai nemici che venivano definiti musi gialli, nanerottoli allo scopo di disumanizzarli. A causa di questo addestramento la differenza fra militari e civili era vanificata. Infatti qualunque cosa si muovesse nei villaggi sia che fossero donne che bambini era da considerarsi un nemico. Naturalmente l’addestramento sottolineava l’importanza della obbedienza cieca ai comandanti. Uno degli slogan più terrificanti che veniva utilizzato per sintetizzare la forma mentis dell’addestramento era la seguente: “il soldato più libero è quello che si sottomette volontariamente all’autorità“.

    Superfluo sottolineare che i soldati ignoravano la Convenzione di Ginevra del 1949. Di particolare significato, a tale riguardo,è il fatto che gran parte degli allievi ufficiali della School di Fort Benning ,in Georgia, non avevano alcun problema a torturare i prigionieri di guerra pur di ottenere informazioni .

    Il tabellone dei risultati
    Una delle pratiche più diffuse durante la guerra del Vietnam fu la competizione fra unità: infatti gareggiavano le une con le altre con lo scopo di raggiungere i numeri di morti più alti. Ecco allora che apparvero veri e propri tabelloni dei risultati e cioè grafici presenti nelle basi militari che indicavano quanti morti erano stati fatti durante la settimana. Naturalmente non aveva alcun importanza se le vittime fossero soldati vietnamiti oppure donne e bambini. A tale proposito l’autore riporta due casi significativi. Il primo risale al 1 settembre 1969 quando i soldati della 196ª brigata di fanteria utilizzarono la mitragliatrice per uccidere quelli che sembravano soldati vietnamiti ma che in realtà erano bambini vietnamiti. Il secondo caso risale al 22 settembre 1968: dopo aver catturato un vietnamita ferito e disarmato ,senza alcuna ragione se non quella di competere con altre unità ,venne ucciso da Joseph Mattaliano della 82ª divisione aerotrasportata .

    Razzismo e geopolitica del disprezzo in Vietnam
    Al di là dei documenti ufficiali dei circoli accademici patinati e delle riviste accademiche patinate il Vietnam veniva considerato per esempio dal presidente Johnson come un paese piccolo e insignificante che contava meno di una pisciata; per il consigliere della Sicurezza Kissinger il Vietnam del Nord era una piccola potenza di quarto ordine. Per gli ufficiali, impegnati nelle operazioni di guerra in Vietnam, era considerato il “cesso nel cortile dell’Asia”, il “bidone della spazzatura della civiltà” o il “buco del culo del mondo”. Scontato che il razzismo fosse ampiamente diffuso sia fra i soldati che fra gli ufficiali: i vietnamiti non era un esseri umani ma erano soltanto musi gialli, erano poco più che animali e quindi ci poteva fare loro ciò che si voleva. Questo consentiva ai soldati di maltrattare i bambini per puro divertimento oppure agli ufficiali, che sedevano delle corti marziali, di assolvere gli assassini o di condannarli a pene simboliche. Ma soprattutto consentiva ai comandanti di ignorare i crimini di guerra commessi dai loro sottoposti.

    Tattiche di guerra
    Una delle tattiche più note applicate in Vietnam fu quella del cerca e distruggi formalizzata dal generale Westmoreland. Secondo questa tecnica piccole unità dovevano trovare, attirare e preparare le truppe nemiche. In altri termini il loro compito era quello di far uscire in un modo o nell’altro i reparti nemici dai loro rifugi e dalle campagne e poi scatenare su di loro l’artiglieria pesante. Questa tattica elaborata nelle stanze asettiche del Pentagono si rivelò semplicemente stupida: finì infatti per dare ai Vietcong un vantaggio tattico straordinario. Le truppe nordvietnamite potevano far finta di abboccare ogni volta che poteva far loro comodo, costringendo in questo modo gli americani a ritrovarsi invariabilmente sulla difensiva. Infatti ,In base ai documenti del Pentagono, i Vietcong furono in grado di cogliere di sorpresa le forze americane per il 78% delle volte. A pagare il prezzo più alto furono come sempre i civili.

    Un’altra tattica fu quella del fuoco libero: chiunque si trovasse nelle zone denominate in questo modo diventava per definizione un nemico. Donne e bambini potevano essere in modo legittimo considerate un bersaglio. secondo i dati del Pentagono, nel solo mese di gennaio del 1969, vennero bombardati villaggi in cui abitavano 3.300.000 vietnamiti secondo la tattica del fuoco libero.

    Il Vietnam come laboratorio di sperimentazione
    Sovente le guerre moderne sperimentano le proprie innovazioni tecnologiche direttamente sul campo di battaglia. Da questo punto di vista il Vietnam è esemplare. Come ricorda il giornalista americano il Vietnam divenne il terreno di prova per le nuove tecnologie militari e uno dei suoi più entusiasti sostenitori fu il generale Maxwell Taylor. Nonostante le innovazioni tecnologiche, rimane il fatto incontrovertibile che lo strapotere militare americano non riuscì a prevalere sui guerriglieri, cioè non riuscì a prevalere su un paese basato su un’economia agricola. Anche se gli Stati Uniti non hanno mai usato le armi nucleari ,la potenza distruttiva che riversarono sul Vietnam fu pari a centinaia di bombe di Hiroshima: attuarono cioè una guerra basata sul concetto di overkill cioè sull’uso di un potenziale distruttivo in eccesso. E come tutte le guerre i costi per la comunità americana furono altissimi: le stime sul costo complessivo della guerra si aggirano dai 700 ai 1000 miliardi espressi in dollari attuali. Infatti la guerra in Vietnam arrivò ad assorbire il 37% dell’intera spesa militare del paese.

    Fra le drammatiche innovazioni poste in essere durante la guerra in Vietnam ci fu l’uso da parte degli F-4 Phantom delle bombe con il napalm. Nel suo saggio Turse ricorda che nel Sud-est asiatico ne furono sganciate qualcosa come 400.000 tonnellate: il 35% delle vittime moriva entro i primi 15/20 minuti. Per tutti coloro che non venivano asfissiati o divorati dalle fiamme – sottolinea il giornalista americano – si poteva prospettare soltanto un destino da morti viventi poiché il naso, le labbra, i capezzoli e le palpebre venivano bruciati quasi fusi dal calore mentre la pelle veniva carbonizzate, cioè si scrostata come una polvere chimica. Allo scopo di rendere ancora più devastante l’uso di questa sostanza, gli americani la combinavano con un altro agente incendiario e cioè il fosforo bianco che, acceso dal contatto con l’aria, bruciava finché non veniva interrotto l’afflusso di ossigeno. A tale proposito esiste una drammatica testimonianza scrupolosamente riportata da Turse: “ho visto la pelle e le ossa della mano di un bambino ustionato dal fosforo bianco sfrigolare per 24 ore, insensibile a qualunque cura “.

    Lo sdoganamento della tortura
    In un contesto di tale natura l’uso della tortura – l’uso di bastoni, di mazze, di acqua e scosse elettriche – era assolutamente consueto, cioè faceva parte della routine sia nell’arcipelago carcerario del Vietnam sia nelle centinaia di basi militari statunitensi e sudvietnamite. Le tecniche utilizzate dagli americani furono la conseguenza degli studi che la CIA fece negli anni ‘50 e che poi culminò nel cosiddetto “Manuale Kubark per gli interrogatori del controspionaggio” scritto segretamente nel 1963. la CIA ebbe modo di perfezionare queste tecniche all’interno del centro nazionale interrogatori di Saigon. Grazie all’addestramento fornito dalla CIA, nel 1971 gli agenti del governo sudvietnamita in grado di impiegare le tecniche della tortura pianificate dalla CIA si aggiravano intorno alle 85.000 unità. Non a caso il comitato internazionale della Croce Rossa e ebbe modo più volte di contestare al governo americano in accettabili violazioni della convenzione di Ginevra nonostante le false promesse del segretario di Stato Dean Rusk. Fra il 1968 e il 1969 la Croce Rossa visitò 60 strutture carcerarie gestite direttamente dagli Stati Uniti e in tutte queste prigioni furono trovate prove di abusi come percosse, ustioni e torture con scosse elettriche ai danni sia di prigionieri di guerra sia di detenuti civili. Tuttavia una delle tecniche più tristemente usate nelle prigioni sudvietnamite di Con Son furono le gabbie di tigre: erano una serie di celle di pietra grandi circa un metro e mezzo per tre, prive di finestre in ciascuna delle quali erano rinchiuse dai tre ai cinque vietnamiti. Se si guardava tra le inferiate che costituivano il soffitto delle celle ci vedevano uomini incatenati al suolo, ammanettati ad una sbarra o con i ceppi alle caviglie. Inoltre sopra ogni cella c’era un secchio di calce viva che ufficialmente doveva servire per scopi igienici ma che in realtà veniva regolarmente gettata loro addosso come punizione provocando soffocamento e ustioni. Fu solo grazie alle indagini dei deputati americani Augustus Hawkins e William Anderson che il Congresso degli Stati Uniti fu messo al corrente di queste pratiche. Soltanto nel 1971, grazie un’inchiesta ufficiale dell’esercito sulle torture ai prigionieri di guerra, si venne a sapere che le violazioni della Convenzione di Ginevra erano diffusissime e che la tortura per le truppe americane era una procedura standard. Infatti la brutalità era regolarmente praticata all’interno delle basi americane ed era diffusa anche fra le truppe sul campo. Il culmine di queste operazioni fu il programma noto come Phoenix Program secondo il quale uomini delle forze speciali americane e sudvietnamite insieme a killer professionisti furono impiegati per neutralizzare i membri della struttura Vietcong e cioè i civili al servizio del FNL. Questo programma, nel 1969, produsse circa 19.000 neutralizzazioni, un lavoro questo che può essere definito da veri e propri cacciatori di taglie in cui si faceva ben poco caso al fatto che gli obiettivi fossero davvero colpevoli. Le prime ammissione ufficiali arrivarono nel 1971 quando William Colby – futuro direttore della CIA, ma all’epoca responsabile statunitense per la pacificazione il Vietnam – affermò che nell’ambito di questo programma erano state uccise almeno 20.000 persone. L’ex agente dell’intelligence militare K.B arton Osborn spiegò come il personale di questo programma avesse carta bianca per torturare e assassinare nella più totale impunità.

    Conclusione
    Indubbiamente sono diversi gli insegnamenti che si possono apprendere da questa vicenda. In primo luogo, l’indispensabilità, nel contesto delle democrazie occidentali, di salvaguardare ad ogni costo la stampa libera come abbiamo avuto modo di osservare a proposito dell’articolo su Snowden.

    In secondo luogo, è necessario sottolineare come esista un enorme divario tra la manualistica accademica che viene regolarmente prodotta sulla politica internazionale e sulla strategia – pensiamo alle riflessioni sulla Guerra del Vietnam della Rand Corporation e di Kissinger – e la realtà nella sua spietata brutalità. In terzo luogo – come già avevamo evidenziato in un articolo su Krippendorf – il linguaggio artefatto e astratto della manualistica accademica sulla politica estera nasconde sovente realtà drammatiche. In quarto luogo, le vicende relative ai crimini commessi dalle truppe americane-ed in particolare all’uso della tortura non può non farci pensare a casi analoghi come quello delle torture commesse in Algeria dalla Francia e quello delle analoghe pratiche poste in essere a Guantanamo. In quinto luogo gli Stati durante i conflitti usano un modus operandi analogo a quello delle organizzazioni criminali. Gli stupri di guerra, le violenza indiscriminate su donne e bambini come l’uso della tortura sono azioni analoghe a quelle poste in essere dalle principali organizzazioni mafiose. E non devono essere considerati eventi occasionali, pur nella loro drammaticità, ma costant .

    In sesto luogo, la guerra del Vietnam – come quella di Algeria – dimostra ancora una volta la validità dell’esperimento di Milgran come d’altronde delle riflessioni di Hanna Arendt su Adolf Eichmann. Parlare di guerre pulite è soltanto un’ipocrisia. Le guerre sono sempre sporche. Chi le fa – non chi le teorizza dentro un’aula accademica o in un centro di ricerca – non può non macchiarsi le mani di sangue e di fango.
  15. .
    Mostro di Firenze, estremismo nero ed ordini neotemplari

    BY LUCA PINGITORE 4 NOVEMBRE 2022

    Mostro di Firenze, estremismo nero ed ordini neotemplari. In questi giorni stanno suscitando notevole clamore gli stralci inerenti la vicenda del cosiddetto “mostro di Firenze”


    contenuti nella relazione finale della Commissione Parlamentare Antimafia.
    Secondo gli estratti pubblicati sui media troverebbero conferma, nelle dichiarazioni del “mostro del Circeo” Angelo Izzo, l’ipotesi investigativa e le supposizioni degli interessati alla vicenda fiorentina inerenti una implicazione nei delitti del gastroenterologo perugino Francesco Narducci, deceduto nel 1985.
    Già nel 2018 Izzo, che sta scontando l’ergastolo per il “massacro del Circeo” del settembre 1975 e per il duplice delitto di Ferrazzano avvenuto nel 2005, dichiarò che gli autori del rapimento e dell’uccisione di Rossella Corazzin nell’agosto del 1975 furono opera sua e del suo gruppo di giovani gravitanti nell’eversione nera romana con la compartecipazione in un ruolo importante del dottor Narducci.
    Secondo le affermazioni di Izzo, ripetute appunto anche alla Commissione Parlamentare, Rossella Corazzin fu rapita da Tai di Cadore e portata sul lago Trasimeno, dopo una tappa in un casolare sopra Riccione, proprio nella villa del gastroenterologo umbro a San Feliciano di Magione dove fu sacrificata nel corso di un rituale esoterico interno ad un Ordine Iniziatico.

    Le dichiarazioni del “mostro del Circeo” legano Narducci a lui ed alla sua compagnia di esponenti fascisti operanti nella capitale tramite la partecipazione ad una cerimonia iniziatica svoltasi nel complesso templare della chiesa sconsacrata di San Bevignate a Perugia nonchè a delle riunioni monarchiche tenutesi in provincia di Arezzo. Gli ambienti frequentati dal medico perugino, secondo Izzo, erano anche quelli delle sette della Rosa Rossa e dei Nove Angoli. Proprio uno dei primi delitti attribuiti al “mostro di Firenze”, quello del 1974, a detta di Izzo è collegabile al mondo delle sette esoteriche e vide tra i protagonisti proprio Francesco Narducci.

    Le asserzioni di Angelo Izzo sono ritenute da molti non plausibili e con chiaro intento depistatorio

    venendo considerato labile e fantasioso il collegamento delineato tra Izzo e la sua banda di fascisti, Narducci, il mondo esoterico ed i delitti del Mostro di Firenze.
    Se però, ad una prima e superficiale lettura potrebbe in effetti sembrare tutto una mera invenzione, i punti di contatto in realtà sono suffragati da diversi elementi provati. Elementi che non confermano la veridicità delle dichiarazioni di Izzo ma che regalano eventualmente spunti degni di valutazione da parte di chi magari anche solo per diletto si interessa alla vicenda.

    Mostro di Firenze, estremismo nero ed ordini neotemplari. La connessione si sviluppa sull’asse Roma – Perugia – Prato – Firenze.

    Adriano Tilgher nei primi anni ’70 fu uno dei fondatori dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale che insieme agli altri gruppi di estrema destra Ordine Nuovo, Nuclei Armati Rivoluzionari e Terza Posizione avevano sede operativa nel quartiere Trieste di Roma. Nello stesso palazzo erano ubicati gli uffici di società finanziarie ed assicurative gestite dallo stesso Tilgher e comunque legate ai suddetti gruppi fascisti ed utilizzate per amministrare operazioni economiche di vario tipo.
    Sin dalla sua (nuova, la prima avvenne negli anni ‘60) costituzione di Avanguardia Nazionale, Angelo Izzo risulta tra i fautori dell’organizzazione ed allo stesso tempo persona gravitante anche nelle altre bande succitate.
    Tilgher frequentava la città di Perugia essendo membro di una sorta di loggia massonica connessa ad una Chiesa Gnostica, quella creata da un altro medico perugino, Francesco Brunelli.
    La Chiesa Gnostica del dottor Brunelli si rifaceva all’Ordine dei Martinisti, una Via Iniziatica in ambito esoterico identificabile alla stregua appunto di una obbedienza massonica.
    La legge aveva abolito le società segrete ma per un buco legislativo la lista delle associazioni da doversi sciogliere non comprendeva tre piccoli gruppi: l’Ordine del Tempio, il Rito di Memphis-Misraim e proprio l’Ordine Martinista.

    Non è questo l’ambito per entrare nei dettagli, nella filosofia e nei rituali di questa particolare congrega
    massonica dall’origine antica ed internazionale ma ai nostri fini serve sapere che dopo Franco Brunelli, a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, uno dei successivi Maestri fu Loris Carlesi di Prato.
    Carlesi si muoveva tra le attigue Prato, dove annoverava diversi adepti operanti in ambienti di vario tipo e classe sociale e Firenze, città dove il gruppo raccolto intorno alla Venerabile Associazione Cenacolo di Prometeo professava gli insegnamenti della loggia gnostica ed esoterica.
    Loris Carlesi con lo pseudonimo di Tau Johannes fondò a Firenze l’Accademia di Studi Gnostici, punto di riferimento, sembra, di diversi personaggi spazianti in differenti ambiti sia cittadini che della provincia.
    Francesco Narducci aveva numerose amicizie nell’area fiorentina, una delle quali corrispondeva a Stefano Mingrone, il rappresentante locale di Avanguardia Nazionale.

    Avanguardia Nazionale, frequentata da Izzo e guidata da Adriano Tilgher e Stefano Delle Chiaie,

    una delle principali organizzazioni di estrema destra coinvolta in numerose drammatiche vicende di cronaca avvenuti nei cosiddetti “anni di piombo”, aveva alla base una marcata impronta esoterica ben visibile sin dal suo simbolo, la ventiquattresima lettera dell’alfabeto runico: l’Odal.
    L’organizzazione oltre ad una struttura ritualistica-esoterica ed una più politica ne annoverava anche un’altra dedita alle infiltrazioni nelle antagoniste organizzazioni di estrema sinistra ed una informativa del Ministero degli Interni, nella fattispecie l’Ufficio Affari Riservati (UAR) gestito da Federico Umberto D’Amato.
    Tra i dirigenti di Avanguardia Nazionale figurava anche Serafino Di Luia secondo Angelo Izzo partecipante insieme a lui e Narducci al rapimento ed all’uccisione di Rossella Corazzin ed additato da alcuni suoi ex compagni come “un funzionario del Ministero degli Interni” [e secondo alcune voci presente anche nel dicembre del 1973 all’aeroporto di Fiumicino durante il tragico attentato N.D.R.]. In seguito Di Luia continuerà ad operare in ambito esoterico come editore.

    Ma tra i presunti insider al Ministero ed all’UAR figuravano

    anche altri dirigenti del gruppo neofascista come Giorgio Crescenzi e Stefano Delle Chiaie, il leader del gruppo ed in odor di collaborazione con la DINA, il servizio segreto cileno che a quanto pare aveva attivo un loro agente anche nella città di Perugia. Proprio in Cile Delle Chiaie trascorse in seguito una parte della sua latitanza.
    In stretti rapporti con Avanguardia Nazionale, seppur appartenente ufficialmente ad Ordine Nuovo, era il perugino Graziano Gubbini, gravitante anche esso insieme a Tilgher nell’ambiente della loggia martinista di Brunelli e Carlesi e protagonista di vari eventi di quegli anni che lo portano ad avere legami anche con ambienti vicini a Gelli ed alla loggia P2.


    [NDR di Dedo: io vorrei fare a tutti presente che la serie dei delitti 68-74-81-81-82-83-84-85 come si evince ha un'escalation nell'81, dal giugno 81 il mostro comincia a colpire ogni anno, addirittura nell'81 due volte. Ebbene io mi chiedo di cosa si stesse parlando in Italia nel giugno 81: riprendiamoci un qualunque quotidiano. Lo scandalo del ritrovamento della lista p2 aq villa Wanda di Gelli aveva minato la credibilità e il patto sociale che la cittadinanza compie con lo stato. Come non si possa coniugare questo macrodato storico con i delitti del mostro resta per me un mistero nel mistero]



    E proprio alla sfera gelliana era contiguo l’ordine martinista e neotemplare presente tra Perugia e Prato il quale oltre ai già visti punti di collegamento con il mondo dell’eversione neofascista, presentava vicinanza finanche con ambienti mafiosi siciliani. Con l’associazione segreta tosco-umbra che si ispirava ai princìpi dei Templari e del Santo Graal
    [si veda la mia analisi sulla storia della famiglia Bevilaqua ingegneri idrici e maestri d'armi per i Gonzaga e appartenenti a ordini cavallereschi dalla chiara tradizione templare. NDR di dedo] entrò infatti in contatto il pentito Angelo Siino, lo stesso che nei primi anni duemila affermò che la Mercedes sulla quale trovò la morte in un incidente stradale la figlia del Venerabile Gelli era una auto in uso alla mafia stessa e ad altri personaggi a metà tra affari e massoneria.

    [A proposito della figlia di Gelli credo valga la pena ricordare "un documento": “Si tratta del Field Manual 30-31B-Stability Operations Intelligence, custodito negli archivi dei servizi segreti ma, soprattutto, trovato 11 anni più tardi nel 1981, nel doppiofondo di una valigia
    trasportata dalla figlia di Licio Gelli, insieme al “Piano di rinascita democratica” che costituiva il
    programma della loggia P2. Il Manuale suggeriva azioni di destabilizzazione, “violente o non
    violente, a seconda delle circostanze”, utili a “stabilizzare i governi di Paesi dell’Alleanza atlantica”
    .
    Dando loro un nome preciso: “Operazioni speciali di stabilità”. "
    Il virgolettato è di Bianconi.
    Si ricordi anche che fu il generale Harold Keith Johnson, Chief of Staff of the US Army, dislocato in Vietnam dal
    dicembre 1965, fu l’inventore dell’espressione Stability operations.
    Una prima copia del documento, chcecché ne dicano i detrattori, già circolava prima di piazza Fontana:
    "I FM 30-31 e il supplemento 30-31A dell’era della guerra in Vietnam (come li hanno definiti noti studiosi americani, francesi, tedeschi, ecc.) sono menzionati nella list of references di numerosi manuali della U.S. Army ma anche della Fleet Marine Force Manuals (FMFM) (V. in Counterintelligence FMFM2, 1979, p. 111); e della Diam (Defense Intelligence Agency Manuals (V. 58-4, Defense Intelligency Collection Manual, Dicom, 1978, p. 108) e nel dicembre 1973 nel FM 105-5 della serie Maneuver Control (V. nel cap. Intelligence annex to the operation order, p. 20), che insieme al 30-5, serie Combat Intelligence sostituivano i manuali del 1958-1964-1967. Già nel 1967 il FM 105-5 citava il FM 30-31 e il supplemento A (p. 35, The intelligence information distribution, 4c) e il FM 33-5 (serie Psycological Operations). L’autentico FM 30-31 fu in realtà prodotto nel 1967, e ristampato l’8 gennaio 1970. Il 28 agosto 1972 furono soppresse alcune pagine, integrate altre siglate C1 (changing 1). Il 24 gennaio 1972, sullo stesso tema furono diffusi il FM 30-17 Counterintelligence Operations e il FM 30-17A Counterintelligence Special Operations. www.avantionline.it/le-stragi-in-i...della-u-s-army/

    Per chi volesse rinfrescarsi la memoria consigliamo la già citata puntata di Report del Maggio scorso, cui seguiranno pressioni e perquisizioni della DIA a casa del giornalista (Strage di Capaci, perquisizioni della Dia a Report e a casa dell'inviato Mondani www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2...079f6764cd.html )
    e le dichiarazioni del generale del controspionaggio del sismi nell'80, Pasquale Notarnicola morto subito dopo l'intervista, che spiegava in modo cristallino la strategia americana "una strategia criminale" per il nostro paese: 1 ora e 20 minuti circa "non è producente il colpo di stato, ma bisogna cambiare il potere dall'interno con una sostituzione per modo di dire dolce. Perché questa sostituzione prevedeva atti orribili come le stragi", e aggiungo io, le stragi del mostro. Secondo Notarnicola il tramite tra la strategia americana e l'esecuzione italiana era la P2."
    www.raiplay.it/video/2022/05/Repor...050f64649c.html ]




    A Perugia a stretto contatto con Gubbini operava il suo amico Luciano Laffranco esponente del Fuan prima e del MSI dopo. Movimento Sociale Italiano che al suo interno aveva proprio una corrente martinista guidata da Francesco Mangiameli, altro nome caldo dell’eversione di quegli anni ed appartenente appunto all’Ordine Iniziatico di Brunelli e Tau Johannes.

    Mostro di Firenze, estremismo nero ed ordini neotemplari. L’ordine Martinista come altre Fratellanze massoniche meno esoteriche e più alla luce del sole

    nelle città di Perugia e Firenze, attingevano soprattutto ad alte sfere pubbliche arrivando a toccare Corti di Appello, Comuni, Procure, imprenditoria, forze dell’ordine e sanità convergendo, in alcuni casi, in rapporti relazionali con Arezzo, la P2 ed il Sismi fiorentino.

    [sismi fiorentino da cui partirono le rivendicazioni dei NAR della strage di Bologna, ad esempio. https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Bologna
    Si veda meglio: COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
    SUL TERRORISMO IN ITALIA E SULLE CAUSE DELLA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEI RESPONSABILI DELLE STRAGI Dalla 87 alla 102 seduta
    (19luglio 1991 . 14/15 aprile 1992) www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/256240.pdf. NDR DEDO]



    Queste diramazioni portano però ad altre vicende che attanagliarono la Toscana, l’Umbria, le Marche in quegli anni con la città di Firenze protagonista con vari depositi di armi, attentati, rapine eversive che coinvolsero appartenenti alle forze dell’ordine, semplici cittadini, istituzioni straniere, ex legionari sconosciuti al grande pubblico.

    [e alla lista aggiungerei i giornalisti, come questo che si ricorda sono nel 2021 in piena pandemenza del deposito di Sant'Agostino,
    www.lanazione.it/firenze/cronaca/c...talia-1.5917162
    salvo poi ridimenticarsene quando deve fare 2+2 sul ruolo di JB www.lanazione.it/firenze/cronaca/m...cesso-1.8251248 NDR DEDO ]


    Tornando alla relazione della Commissione Antimafia ed alle dichiarazioni di Angelo Izzo, da questo quadro appena esposto, molto generalizzato e nel quale non vengono affrontate le tentacolari diramazioni che si dipanano per poi comunque sovrapporsi tra di loro verso un’unica direzione, si evince come Angelo Izzo, membro della cosiddetta manovalanza di Avanguardia Nazionale ma non solo di quella, era ben dentro le vicende che racconta. Magari con qualche elemento inventato ma di certo con una cognizione di causa. Parlando a scopo beffardo sapendo di non avere comunque oramai più nulla da perdere o forse con l’intento di lanciare segnali che qualcuno potrebbe esser in grado di comprendere.





    https://ilquotidianoditalia.it/cronaca/mos...ni-neotemplari/


    P.S. del redattore DEDO
    Vorremmo anche ricordare che Izzo venne scarcerato da Vigna. E che lui si, venne incluso tra i testimoni di Piazza Fontana. Lui non aveva problemi edipici evidentemente.
    Aggiungo solo un parere personale di quel che accadrà: così come il sofisticato depistaggio dell'accusa prima a Pacciani Seral Killer unico poi a capo di un gruppo di serial killer i CDM, era geniale perché vendeva all'opinione pubblica una verità credibile e in parte vera, così ora si farà grazie ad Izzo su Narducci ed eventuali appartenenti a sette varie, senza però, come spiega meglio di me il buon Pingiotre, mettere insieme le connessioni. Connessioni che come dimostrato proprio nel video fatto proprio con Luca* si dimostrerebbero in un paio di Click su google.
    Evidentemente ancora non siamo pronti a vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio.

    *per chi se lo fosse perso ricordo il video che facemmo con Luca per spiegare come sarebbe stato facile fare codeste connessioni se uno accendesse il cervello
313 replies since 10/8/2013
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