| si chiede se la data della ricezione della lettera non sia stata retrodatata per non collegare le due cose.
“Ora mi chiedo: ma siamo sicuri al 100% che la lettera inviata a Vagheggi sia del 8-9 novembre e non del mese dopo ???” si chiede
La cosa ha senso. Vagheggi pubblica l’articolo del 2 dicembre, riceve una lettera molto particolare, dirà poi di averla ricevuta il mese prima per inquinare il colegamento, e continua ad occuparsi d’altro. Ma di cosa?
Per cui faccio una ricerca degli articoli del giornalista di quei mesi, e non riesco a non ripensare alle parole del Mignini nell’ultima intervista fatta in cui dice chiaramente che c’erano giornalisti trasferiti a Firenze al soldo dei servizi segreti, elemento per me fondamentale per realizzare una PsyOp. Anzi, si potrebbe dire senza ombra di dubbio che se in un delitto puramente esoterico il fine è l’uccisione secondo alcune modalità, nel delitto a scopo di terrorismo il fattore chiave sono proprio i giornalisti e i messaggi che questi, e non direttamente l’assassino, inviano all’audience da colpire. Si guardi al covid, di un raffreddore perfettamente curabile sono stati i medici (con cure evidentemente sbagliate) e i giornalisti, propagandando il terrore, a creare l’emergenza, il covid di per sé avrebbe ucciso solo chi stava morendo per conto suo, magari sparato da un collega come questo poveraccio della guardia di finanza,, in stato vegetativo dal 2017 proprio perché un collega gli sparò ma morto “di covid” https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/c...ovane-1.5146701
In ordine cronologico alcuni articoli del Vagheggi:
L’articolo successivo del Vagheggi non cita la lettera ricevuta. Parla di un rapimento di poche ore di una bambina. Uno dei rapitori calza il 42. CECILIA, VENTI ORE IN MANO AI CARCERIERI MA NESSUNO SA PERCHE 5-1-1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
Questo è ancor più particolare. 'NON SONO UN PEDOFILO MA IL PORNO MI PIACE' Non sono un pedofilo ma un pornofilo, un collezionista. Tra le videocassette che possedevo, è vero, c' era anche un certo tipo di materiale pornografico ma erano tre, quattro pezzi su trecento. So di aver sbagliato ma ho pagato. Ho riflettuto e ho rivisto la mia posizione sulla pornografia minorile. Non avevo mai pensato che dietro ci fosse quella violenza che tutti combattiamo. La voce di Alessandro Moncini è ferma, decisa. Non c' è contrizione nonostante le parole che sanno di pentimento. L' imprenditore triestino, ex presidente dell' Aci, ex presidente dell' associazione mondiale rivenditori di pneumatici, piccolo, magro, cattolico ma anche massone, 47 anni non ancora compiuti, è in Italia da poco più di ventiquattr' ore. E da Montecatini, dove è arrivato per assistere ai funerali della madre Fosca, precisa, puntualizza la sua posizione, espone tesi sulla pornografia. E' quasi una controffensiva. Negli Stati Uniti ha scontato nove mesi e 18 giorni di carcere per aver violato il Child Protection Act: ha illegalmente spedito a un agente federale che si era spacciato per un amico materiale pornografico, pagine di riviste per pedofili e un videotape. Film di sesso con bambini come protagonisti. Ma il caso è scoppiato per alcune telefonate registrate dal Gman ed in cui Moncini parlava del possibile incontro con una bambina (il testo è allucinante:Cosa posso fare a questo piccolo animale? Di tutto. Posso incatenarla? Certo. Frustarla? Sì... E se l' animale si rompe o si danneggia? Basta far sparire le tracce e il corpo...Sì voglio che muoia). Da queste telefonate però non sono scaturite imputazioni. Fantasie erotiche, le definisce l' abbronzatissimo Moncini (non ho mai giocato tanto a tennis come nel periodo della detenzione) che dopo aver partecipato, insieme alla figlia Alessandra, alle esequie della madre, sepolta nella cappella di famiglia, nel cimitero di Montecatini, sembra aver riacquistato la grinta di un tempo. E' quasi certo dell' assoluzione al processo d' appello previsto per il 20 gennaio. Si dice incredulo per la situazione che ha trovato in Italia, per essere stato dipinto come un mostro dalla stampa. Le scritte apparse a Trieste (attenti bambini arriva Moncini) non lo preoccupano: se sono quel mostro che voleva uccidere una bambina in una camera d' albergo commenta con aria ironica hanno fatto bene. E minaccia querele, accusa di nazismo il sistema giudiziario americano. Forse si sente ancora protetto dagli amici triestini (in carcere ho ricevuto moltissime lettere) che un anno fa, al momento dell' arresto, non esitarono a scrivere alla magistratura americana per difendere l' imprenditore (dal vescovo Lorenzo Bellomi, poi pentitosi del gesto, al vicepresidente della giunta regionale, il socialista Gianfranco Carbone). Ma è un tema questo, come le telefonate, che Moncini preferisce evitare. Tira in ballo il segreto istruttorio: Su 70 telefonate ne ho ricevute 63 e fatte sette. Sono cose di cui non sono mai stato accusato e neppure sospettato. Almeno negli Stati Uniti. In Italia è diverso. Ma chiariranno tutto i magistrati triestini che hanno aperto un' inchiesta. Ho saputo che sono partiti per l' America, sgombreranno il campo dalle accuse che mi sono piovute addosso. Delle lettere posso dire che fanno parte di un iter processuale testimonia debolmente Nessuno mi ha tolto le responsabilità che avevo. Per l' uso distorto delle lettere c' è in corso un procedimento penale per diffamazione, fissato per il 24 gennaio, aggiunge il difensore, l' avvocato Salvatore Aleffi, che in una saletta dell' hotel Croce di Malta siede a fianco di Moncini non senza annunciare che è arrivato il momento della verità. E la verità l' imprenditore la tira fuori dalla tasca di un' elegante giacchetta pied de poule. E' un foglietto spiegazzato e consumato: l' ordine di cattura spiccato dalla magistratura statunitense. Credevo di essere imputato di alcune cose. La stampa ha diffuso notizie non corrispondenti alla verità. Ha avuto interesse a cavalcare la figura del mostro e non quella del santo ma la verità è scritta in questo documento dice, non senza enfasi, Moncini sono stato arrestato per aver spedito un videotape e sette pagine di riviste contenenti materiale pornografico in cui sono coinvolti minori. Non foto particolari. E' materiale che ho acquistato in edicola o in libreria, tutto in libera circolazione. Non per diminuire una colpa che ho ma per chiarire: sono arrestato il 18 marzo 1988, processato rapidamente il 28 maggio. Ma nessun americano, per un caso simile al mio, è stato in carcere più di due giorni prosegue non mi è stata concessa la libertà provvisoria e ho scontato l' intera pena. Ammette che un' eventuale assoluzione in appello non cancella la realtà. Le riviste con le foto le ho mandate confessa ma credevo di essere in contatto con un collezionista di pornografia come me. Invece era un poliziotto. Non tutti capiscono come uno possa essere amante della pornografia, sostiene. Riconosce di aver sbagliato per aver collezionato riviste pedofile ma pensa di aver pagato: non so quanta gente è stata in carcere per delle riviste. Terribile. Tornerà a Trieste tra qualche giorno. Non cerco una riabilitazione: so che dovrò lavorare per riacquistare la fiducia del prossimo, conclude dopo aver ammesso di essere stato iscritto alla massoneria. E la loggia P2? E' stato un equivoco. Non ho mai conosciuto Licio Gelli, dice prima di rientrare in camera. Si riposa a Montecatini, cittadina famosa per le terme ma anche per gli intrighi piduisti. di PAOLO VAGHEGGI 13 gennaio 1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
IL PATTO DI FERRO TRA MAFIA E FASCISTI MASSA
Mafia e neofascisti hanno stretto un patto di ferro e per finanziarsi gestiscono in comune attività criminali. E' questo il teorema del sostituto procuratore della repubblica di Massa Augusto Lama che ha spiccato 72 ordini di cattura per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di armi e droga, truffa, illeciti valutari, fiscali e doganali contro picciotti, boss emergenti, banchieri e noti personaggi della destra eversiva come Marco Affatigato. E' lo stesso teorema che è alla base del processo per la strage del rapido 904 in corso in questi giorni a Firenze. Mafia, camorra e neri raccontano i pentiti nel dicembre del 1984 si allearono per colpire al cuore lo Stato e per gestire il business della malavita. Per questo c' è già chi ipotizza collegamenti tra l' inchiesta di Massa e il procedimento fiorentino. Per il momento però si tratta soltanto di inquietanti sospetti che nascono dagli intricati e sporchi affari scoperti dalla magistratura apuana, scoperte a cui non sarebbe estraneo un chiacchierato 007: Aldo Anghessa. Il gruppo inquisito, in cui troviamo uomini del clan dei Minore di Trapani e della famiglia palermitana di Porta Nuova, secondo le accuse, ha portato avanti negoziazioni per milioni di dollari, è intervenuto durante la vendita alla Guinea Bissau di caccia Mirage, ha spacciato dollari falsi, nonché promissory notes (titoli di credito) del governo indonesiano completamente fasulli, e certificati di credito sempre falsi di una inesistente Canadian Credit Bank che aveva una sede di Detroit con tanto di direttore ora ricercato dai G-Man dell' Fbi. Un incredibile giro E' un incredibile giro che passa attraverso gli Stati Uniti, il Canada, il Venezuela, il Brasile, il Belize, l' Argentina e, ovviamente, l' Italia. Nel nostro paese i punti di riferimento erano in tre regioni: la Sicilia, l' Emilia Romagna e la Toscana con qualche ramificazione romana. Tutta la storia comincia proprio in Toscana, a Marina di Carrara dove ha sede la Euro Gross, società in nome collettivo specializzata in forniture navali di cui sono ufficialmente titolari i fratelli Marilena e Pasqualino Bellotto. Finirono in carcere per ordine del sostituto procuratore Lama, nel settembre del 1987 quando scoppiò l' affare Boustany I, il mercantile bloccato al largo di Bari con un carico di missili, bazooka e lanciagranate. Le armi così fu detto erano destinate ai terroristi mediorientali, ma in pochi giorni il caso diventò ben più esplosivo: si ritrovarono in manette Ferdinando Borletti e i vertici della Valsella, una delle più importanti fabbriche di armi. Si parlò di Irangate italiano e spuntò anche un collaboratore del Sisde, Aldo Anghessa (è tornato alla ribalta delle cronache nel novembre dello scorso anno quando all' aeroporto di Milano fu fermata una ragazza libanese che aveva addosso le fotografie di tre ostaggi americani e la lettera apocrifa di uno di loro). I Borletti e i dirigenti della Valsella successivamente sono stati prosciolti dalla magistratura bresciana, l' inchiesta sulla Boustany è finita a Bari per competenza territoriale. A Lama era rimasta soltanto la Euro Gross, coinvolta nelle presunte triangolazioni illecite e nella cui sede era stata sequestrata la fotocopia di un certificato di credito della Canadian. Erano dei prestanome Esaminando i 600 telex ricevuti dall' azienda, le intercettazioni telefoniche, i verbali di interrogatorio di Anghessa (a quanto pare poi ascoltato più volte) sono venute fuori le sorprese, gli intrecci tra mafia ed eversione di destra. Pasqualino e Marilena Bellotto, nuovamente arrestati e interrogati ieri, erano in realtà dei prestanome, agivano per conto di Massimo Mosti e Francesco Catalani, titolari della Fininvest 2000, finanziaria romana che ha coperto buona parte dei traffici. E così è cominciata la lenta ricostruzione della connection, dei piccoli e grandi affari per i quali sono stati usati falsi promissory notes indonesiani trovati in una banaca di Torino, depositati da un americano, Jack Rosen, che ha detto di averli ricevuti da Marco Affatigato. Ma c' è anche la storia dei certificati canadesi spuntati, proprio a Massa, un anno fa. Un uomo, per sfuggire all' arresto, abbandonò in una banca della città toscana due buste contenenti titoli di credito per 61 milioni di dollari, circa 80 miliardi di lire. Si ritorna così alla Euro Gross che secondo Lama era oggetto di un' ampia infiltrazione mafiosa di alcune cosche della Sicilia occidentale e in particolare di quella di Michele Cillari. Le indagini non sono ancora concluse ed ogni giorno spuntano nuove ramificazioni: ieri è spuntata anche un' inchiesta fiorentina sui promissory notes. Sono state emesse comunicazioni giudiziarie nei confronti di Giovanni Biondo, titolare di una società di import export, la David, di Vincenzo Fenili, pilota civile e di Luca Poggiali. Quest' ultimo è un estremista di destra, condannato a 19 anni di reclusione per l' omicidio di una guardia giurata e attualmente in semilibertà. dal nostro inviato PAOLO VAGHEGGI 01 febbraio 1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
UNA FOTOCOPIA HA TRADITO COSA NOSTRA MASSA E' cominciata con una fotocopia l' inchiesta che ha portato in carcere mafiosi e neofascisti, uniti da un patto di ferro per gestire in comune il grande business del crimine, un patto di sangue: così è nato dimostra il processo in corso a Firenze contro Calò e Misso anche l' attentato contro il rapido 904. Il foglio, la fotocopia di un certificato di credito emesso dalla Canadian Credit Bank, fu trovato nel settembre del 1987 a Marina di Carrara, nei locali della società di forniture navali Euro Gross, perquisita durante le indagini che presero il via dopo il sequestro del cargo libanese Boustany I. Partendo da questo pezzo di carta il sostituto procuratore della repubblica di Massa Augusto Lama ha potuto ricostruire, grazie all' aiuto che gli hanno fornito i servizi di sicurezza, una gigantesca connection tra criminalità organizzata ed eversione di destra. In carcere sono già finite 50 persone anche se gli ordini di cattura sono 72, una quindicina dei quali internazionali. L' organizzazione aveva corrieri in ogni angolo del globo: Argentina, Brasile, Venezuela, Stati Uniti, Guinea Bissau. Ed è proprio sui corrieri che punta il sostituto massese che ieri ha interrogato 9 dei cinquanta arrestati. Ad uno degli imputati, Paolo Baroni, ha concesso la libertà provvisoria. Sembra estraneo alla vicenda. Il sostituto è intenzionato a raccogliere tutte le deposizioni dei personaggi detenuti negli istituti di pena che si trovano nel centro Italia entro l' inizio della prossima settimana (oggi sarà a Bologna). Poi partirà per Palermo, città dove tra qualche mese potrebbe lavorare stabilmente. Un anno fa il magistrato toscano ha presentato una domanda di trasferimento, ha chiesto di essere assegnato alla procura del capoluogo siciliano. La pratica, a quanto pare, è stata bloccata per una serie di minacciosi avvertimenti di stampo mafioso. Ma tra qualche mese secondo alcune voci Lama potrebbe prendere servizio a Palermo per continuare le investigazioni sulle organizzazioni criminali. I giri che iniziano a Palermo, e che ormai avvolgono tutta l' Italia e mezzo mondo, sono sempre più grandi, sempre più intricati e non esiste più una netta divisione tra criminalità organizzata e criminalità eversiva. E' il teorema di questa inchiesta dove sono coinvolti secondo le accuse due personaggi di spicco della destra: Marco Affatigato, attualmente detenuto in Francia e Claudio Fini, arrestato l' altro ieri in Emilia Romagna. I due sempre secondo le imputazioni erano in ottimi rapporti, erano nel giro della grande truffa dei certificati di credito della Canadian Credit Bank. E' un istituto fasullo con sede a Detroit, una banca fondata per truffare mezzo mondo. I certificati venivano velocemente trasferiti dai corrieri che si preoccupavano anche di piazzare dollari e quantas (la moneta dell' Angola) abilmente falsificati. Affatigato, fuggito in Francia qualche anno fa dopo essere rimasto coinvolto nelle indagini sugli attentati alla linea ferroviaria Firenze Roma, insieme a Fini è riuscito a far entrare negli Stati Uniti, certificati della Canadian per 3 milioni di dollari. Sono uguali a quello che fu rinvenuto in fotocopia presso la Euro Gross, azienda che fu a lungo frequentata da Aldo Anghessa, il chiacchierato 007 presente in molte delle ultime oscure vicende avvenute in Italia. Sono quelli accuratamente sistemati dentro due buste sequestrate in un istituto di credito di Massa, abbandonate da un uomo che tentò l' incasso. Fini è ancor più coinvolto essendo entrato, grazie ai legami con il console onorario Luciano Zilocchi, nelle trattative per la vendita alla repubblica centroafricana della Guinea Bissau di sei caccia Mirage. Tutte queste strade, ad ogni modo, portano verso la mafia. Fini, attraverso la finanziaria Fininvest 2000, era collegato a Massimo Mosti e Francesco Catalani, titolari della Euro Gross. E questa via porta fino in Sicilia, fino alla macelleria di Michele Cillari, della famiglia di Porta Nuova, la stessa di Pippo Calò, il boss accusato della strage di Natale. dal nostro inviato PAOLO VAGHEGGI 02 febbraio 1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
Altro interessante articolo riguardo ai servizi russi CACCIA ALL' UOMO DI MOSCA https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
per poi occuparsi, solo a marzo 1989, del Mostro. Articolo peraltro piuttosto irrilevante se non per quell’aura secondo me irrazionale che pervade ogni commento di quei mesi: subito dopo Scopeti sono tutti sicuri che il mostro non avrebbe più colpito, pur ancora ammettendo il 68 e quindi salti di 6 e 7 anni tra un omicidio e l’altro. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
poi un rapimento ai danni dell’imprenditore del caffè Jolly, seguitemi un attimo. CACCIA AI RAPITORI DELL' INDUSTRIALE E UNA TESTIMONE DICE: 'HO VISTO TUTTO” https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
che poi prosegue con gli aggiornamenti sugli sviluppi IL RICATTO DELL' ANONIMA FIRENZE Gli hanno mozzato gli orecchi. La parte alta, come fosse un doberman o un boxer. Hanno usato un rasoio o una lametta. Un colpo netto e hanno reciso l' elice e la fossa scafoidea. Si sono fermati alla conca del padiglione. Poi hanno impugnato una Polaroid e hanno fotografato la vittima: Dante Belardinelli, 65 anni, imprenditore, il re del caffè sequestrato a Firenze il 30 maggio scorso. 25-7-1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
Attenzione: TERRORE NELLA FAMIGLIA BELARDINELLI 'SIAMO PRONTI A PAGARE IL RISCATTO FIRENZE
Innocenti, siamo innocenti, continuano a ripetere i quattro calabresi accusati di concorso nel sequestro di Dante Belardinelli, l' imprenditore fiorentino da 57 giorni prigioniero dell' anonima e brutalmente, barbaramente, mutilato dai suoi carcerieri. Gli hanno mozzato entrambi gli orecchi. La famiglia è terrorizzata, impaurita e ha già lanciato un appello ai banditi: siamo pronti a pagare. Aspettano un segnale mentre la magistratura continua a indagare su questo rapimento, uno dei più feroci nella storia della criminalità italiana Ieri pomeriggio il procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna e il sostituto procuratore Michele Polvani hanno interrogato i quattro detenuti. Sono originari di Africo e sono stati arrestati il 2 luglio, poche ore dopo che alla moglie e alle figlie di Dante Belardinelli era arrivato un messaggio con le istruzioni per il pagamento del riscatto: quattro miliardi. Scarne le notizie sull' operazione legata alla cattura di quattro presunti componenti della gang. Antonio Favasuli, Domenico Mollica e Domenico Iacopino questi i nomi sarebbero stati fermati ventiquattro giorni fa nei pressi del casello autostradale di Firenze nord, poco lontano dal punto dove era stata abbandonata una bottiglia contenente gli ordini della banda che ha portato a termine il sequestro e quasi sicuremente collegata alla ' ndrangheta. Il quarto imputato, Domenico Morabito, è stato bloccato in Calabria. E' un sorvegliato speciale in passato inviato in soggiorno obbligato in Toscana, in provincia di Arezzo, in una zona dove Belardinelli possiede una piccola azienda agricola. Morabito si proclama estraneo al rapimento ed il suo difensore, l' avvocato Luca Saldarelli, ha chiesto al tribunale della libertà di revocare il mandato di cattura emesso dall' ufficio istruzione di Firenze. La stessa istanza è stata presentata per Antonio Favasuli. I giudici discuteranno i ricorsi oggi mentre la procura sembra intenzionata a chiudere al più presto l' inchiesta in cui sono coinvolti tre giornalisti del quotidiano La Nazione. Il direttore Roberto Gelmini, il capocronista Umberto Cecchi e il cronista Amadore Agostini, sono indiziati di concorso in rivelazione di segreti d' ufficio, pubblicazione arbitraria di atti di procedimento penale e favoreggiamento per aver pubblicato alcune indiscrezioni sul rapimento: il fermo dei quattro calabresi. E' un' indagine che sta avvelenando i rapporti tra stampa e magistratura e tra gli stessi giornalisti che frequentano il palazzo di giustizia. Cecchi, che sostiene di aver pubblicato la notizia dell' arresto dei quattro banditi grazie a una telefonata anonima, non ha esitato a sparare contro il procuratore aggiunto Vigna. Ha parlato di piccola tortura psicologica da Medioevo che non porta a nessun risultato concreto, ha criticato l' operato della magistratura perché ascolta dieci giornalisti nel momento in cui si ricerca un sequestrato. Ma La Nazione deve far fronte alle bordate de L' Unità che ha legato, sia pure in modo sottile, la mutilazione di Belardinelli e l' articolo apparso sul quotidiano fiorentino, un articolo da addebitare a presunte rivalità tra le forze di polizia. Vigna è intenzionato ad individuare la talpa, il pubblico ufficiale coinvolto nella vicenda. In questura e al comando dei carabinieri a quanto sembra stanno saltando congedi e ferie anche se ufficialmente è per necessità di servizio: gli accertamenti su questo crudele sequestro. Belardinelli è stato sequestrato il 30 maggio, in via di Corbignano, mentre stava tornando a casa dopo aver trascorso tutta la giornata nella sua azienda, la Jolly caffè, una delle torrefazioni più conosciute del capoluogo toscano. Le trattative tra la banda e la famiglia sono state sempre difficili. Tre giorni fa il truce messaggio, l' ultimo avvertimento: pagate o lo ammazziamo. di PAOLO VAGHEGGI 26 luglio 1989 sez.
Cosa? Voi avete capito? Ripromettendomi di trovare questi articoli incriminati di Umberto Cecchi vorrei capire meglio qeusta storia della talpa. In ogni caso leggendo l’articolo non si può non ripensare alle dichiarazioni di Mandelli, che riporto: Mandelli sostiene di aver avuto accesso, attraverso i suoi parenti sardi e le loro frequentazioni, a molti segreti sui sequestri di persona, sui delitti del mostro, nonché sui rapporti fra criminali ed inquirenti, anche i più inconfessabili. Il 26 settembre 2001, assistendo ad una trasmissione di Porta a Porta sui misteri del mostro di Firenze, decide di raccontare ciò che sa (o sostiene di sapere). Chiama la Rai, entra in contatto con altri giornalisti. Su Panorama del 13 dicembre 2001 esce un servizio sulle sue presunte «rivelazioni». Nel frattempo, il 23 novembre, Franco Mandelli le aveva raccontate a verbale davanti al capo della Mobile di Firenze Michele Giuttari. Mandelli sostiene di aver assistito ad incontri fra Vigna ed elementi dell' anonima sequestri sarda, a loro volta in contatto con persone legate a Pietro Pacciani. Avrebbe parlato addirittura di episodi di riciclaggio, attribuendoli all' ex procuratore di Firenze. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...-arrestato.html
Ma andiamo avanti con gli articoli del Vagheggi sul rapimento Belardinelli perché le cose potrebbero anche complicarsi.
'E ADESSO HO PAURA CHE UCCIDANO MIO MARITO' FIRENZE Le persiane di villa Belardinelli sono chiuse. Un dalmata infila il muso tra le inferriate del cancello d' ingresso. Scodinzola. Forse spera di vedere arrivare il padrone, il ragionier Dante. Ma il re del caffè è ancora prigioniero dell' anonima. E in casa nessuno ha voglia di giocare con il cane. Mimma Belardinelli, la moglie del rapito, non esce di casa dal giorno in cui è avvenuto il sequestro. E' seduta davanti al telefono. Prima aspettava le richieste dei banditi. Ora attende notizie e ha paura per la sorte del marito. Scambia solo poche battute. Sono angosciata, adesso ho veramente paura, dice al citofono. La voce è carica di inquietudine, di sofferenze. Non riceve i giornalisti. E' chiusa nel dolore. E' una situazione tristissima, ammette Annachiara Belardinelli, la figlia, che arriva in via di Corbignano insieme a un magistrato, il sostituto procuratore generale Antonino Guttadauro, buon amico di famiglia.
E tra gli amici, almeno fino a un paio di mesi fa, c' era anche Piero Luigi Vigna, il procuratore aggiunto di Firenze, l' uomo che ha deciso il blitz dell' altra notte e che dal 30 maggio coordina le indagini di questo caso. Dante Belardinelli è stato sequestrato poco lontano dalla villa. E' stato bloccato proprio in via Corbignano, una viuzza della zona residenziale di Firenze, stretta da alti e grigi muri di pietra che ricordano famosi dipinti di Ottone Rosai. Siamo alle porte di Settignano, nella zona dove ha vissuto Gabriele D' Annunzio. Belardinelli, proprietario di una celebre torrefazione, la Jolly caffè, ex consigliere della Fiorentina calcio, stava tornando a casa. Mancava poco alle 20. Da una strada laterale spuntò un' auto. Fu costretto a rallentare, a fermarsi. Lo portarono via, di forza, nel giro di pochi secondi. Inizialmente sembrava un gruppo di dilettanti, balordi di periferia. Ma dopo pochi giorni arrivò una lettera con le richieste di riscatto. Cominciarono le trattative. Alla fine di giugno l' accordo sembrava vicino. Ma nella notte tra l' 1 e il 2 luglio ci furono i primi arresti. Tre giovani furono bloccati nei pressi del casello autostradale di Firenze nord, vicino al punto in cui era stata depositata una bottiglia contenente una foto del rapito e istruzioni. Una quarta persona fu bloccata in Calabria. Quattro calabresi subito collegati alla ' ndrangheta accusati dopo pochi giorni di concorso nel sequestro Belardinelli. Non è ancora ben chiaro il ruolo che hanno avuto in questa vicenda. E' un caso di cui proprio ieri si è occupato il tribunale della libertà del capoluogo toscano investito della questione dai difensori di due degli arrestati. Domenico Morabito, 33 anni, benzinaio, orginario come gli altri di Africo resta in carcere. Antonio Favasuli, 22 anni, operaio, invece è tornato in libertà. Non so perché mi hanno fermato, stavo andando a Milano con due amici, ha detto quando poco dopo le 18 ha lasciato Sollicciano, dove sono ancora detenuti Domenico Mollica, 20 anni, studente e Domenico Iacopino. E' un lato oscuro di questo sequestro che ha avuto una drammatica svolta una settimana fa. Domenica scorsa, il 23 luglio, i banditi hanno fatto arrivare un macabro avviso alla famiglia Belardinelli. A Bologna, nella toilette del bar Impero, hanno lasciato una busta contenente tre foto e lembi di cartilagine degli orecchi del rapito. Al rapito erano state mozzate entrambe le fosse scafoidee. Un messaggio che non lasciava spazi per trattare: pagate o lo ammazziamo. C' era anche una lettera probabilmente dettata dai rapitori con l' ultima richiesta, 5 miliardi, e il percorso da seguire. La famiglia Belardinelli ha cercato i soldi, ha preparato una borsa, l' ha riempita con le mazzette. Ha preso una 126 sopra la quale ha sistemato una sedia. I banditi hanno chiamato poco dopo le 19 di venerdì. Ma gli inquirenti hanno intercettato la telefonata e gli emissari non sono riusciti a partire. I cinque miliardi ha spiegato il questore di Firenze Filippo Fiorello sono stati sequestrati per ordine della magistratura. Venerdì notte in via di Corbignano ci sono state scene drammatiche. I vicini sono stati svegliati dall' abbaiare dei cani, dalle luci azzurre delle auto di polizia e carabinieri. Poi, poco prima dell' alba di ieri, la sparatoria vicino a Roma. Da un punto di vista tecnico è stata un' ottima azione ha affermato ieri pomeriggio il questore i banditi presi con le mani in alto, i poliziotti rambo sono soltanto cose da film. L' operazione era finalizzata alla salvezza dell' ostaggio, ha concluso. Chissà se di questo sono convinti anche la moglie e le figlie di Dante Belardinelli, chiuse nella villa di via di Corbignano. Sono sole. Non commentano il blitz. Ma per tutta la giornata di ieri nessun funzionario della questura o ufficiale dei carabinieri è salito fino alla casa del rapito. di PAOLO VAGHEGGI 30 luglio 1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
LA MIA SFIDA ALL' 'ANONIMA SEQUESTRI' FIRENZE L' ufficio del procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna è al secondo piano del palazzo di giustizia, un edificio seicentesco piazzato nel cuore del centro storico di Firenze. Pochi quadri alle pareti, una severa libreria e un gran silenzio appena incrinato dal leggero ronzio di un condizionatore. E' da questa stanza che il magistrato, uno degli uomini di punta della giustizia italiana, ha seguito l' evolversi del sequestro Belardinelli. Ed è qui che è stato deciso di imboccare la strada della linea dura, la strada della fermezza: confisca dei cinque miliardi preparati dalla famiglia del rapito e conseguente intervento sulla bretella autostradale di Roma, nel luogo in cui doveva essere consegnato il riscatto. Da molti anni le famiglie dei rapiti non incontravano grossi ostacoli. Pagavano i banditi senza troppe difficoltà. La procura di Firenze invece ha preso una decisione ben diversa e oggi è al centro di furiose polemiche. I parenti di tutti i sequestrati, tra l' altro, temono per la sorte dei loro congiunti. Ma Piero Luigi Vigna, almeno apparentemente, è tranquillo, convinto di aver tentato, con giusti mezzi, di salvare la vita a un ostaggio che è anche un suo amico personale. Ed è convinto che questa è l' unica via per far tornare l' imprenditore fiorentino nella sua bella villa di via di Corbignano. Non sembra pentito e a 60 giorni dal rapimento, per la prima volta, ricostruisce questo difficile caso. Rivela che la stragrande maggioranza della magistratura italiana è con lui e che chiede allo Stato norme precise, mirate a questo fenomeno; spiega i retroscena del blitz che sostiene è diventato obbligatorio quando gli inquirenti si sono convinti che i malviventi erano intenzionati a prendere in ostaggio anche la figlia dell' imprenditore. Dice: non c' erano prove che Belardinelli fosse ancora in vita; confronta questa storia con altre simili avvenute in Toscana. Ricostruisce l' inchiesta che aveva già portato all' arresto di quattro calabresi, rilasciati domenica dopo un mese di detenzione in quanto estranei a questa vicenda. La pista giusta è quella della filiale toscana dell' anonima sarda. Si aggiusta gli occhiali a lunetta, come sempre spezza in due una sigaretta, l' accende e attacca esaminando gli aspetti giuridici: i perché della fermezza. C' è un presupposto, un obbligo giuridico di intervenire che discende dall' articolo 219 del codice di procedura penale. Dice: gli organi di polizia giudiziaria devono impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori, assicurarne le prove, ricercare i colpevoli. Ricordo che siamo intervenuti anche in occasione del sequestro di Gaetano Manzoni (un industriale fiorentino rapito nel gennaio del 1979, ndr) ed anche allora ci fu uno scontro a fuoco. Si trattava, ieri come oggi, di una banda di sardi. Spararono per primi, gettarono una bomba a mano che mi colpì sul petto ma che fortunatamente non esplose. Fu impedito il pagamento del riscatto. L' ostaggio fu liberato dopo un mese. L' interpretazione che a Firenze diamo all' articolo 219 porta all' intervento. Da sempre. Riconosco però che essendo una norma di carattere generale è elastica, che altri magistrati hanno dato altre interpretazioni. Proprio per questo fin dal 1978 erano state sollecitate disposizioni mirate al fenomeno dei sequestri di persona. E' una richiesta che è stata ripetuta pochi giorni fa dopo una riunione che si è tenuta presso l' alto commissariato per la lotta alla mafia e alla quale ho partecipato insieme a una ventina di magistrati che si occupano di sequestri, magistrati di Locri, di Milano, di Torino. Sono state sollecitate una serie di disposizioni: obbligo di denuncia per i rapimenti, la previsione di punizioni anche per coloro che non rendono noti atti preparatori di un sequestro, una norma che vieti ogni atto diretto ad approvvigionare il pagamento del riscatto. Rendendo nulli, ad esempio, un prestito contratto a questo fine. E' questo il quadro che auspichiamo, quello che attendono i magistrati. Dottor Vigna fino a venerdì però la magistratura ha adottato una linea ben più morbida, flessibile. Le storie dei 160 sequestrati in Aspromonte parlano chiaro. E allora perché questo intervento per Dante Belardinelli? (che è anche tuo amico, ndr) La stampa critica quei cittadini che assistono indifferenti a un atto di violenza nei confronti di una donna. Cosa dovrebbero pensare di uno Stato indifferente di fronte ad atti di violenza? Lo Stato non può restare indifferente. In questo caso specifico ci sono anche altre motivazioni, si sono innestate della valutazioni concrete. Dopo il taglio degli orecchi non c' è stata nessuna prova concreta che l' ostaggio fosse ancora in vita. (ma che modo di ragionare è? ndr) Non vuol dire che Dante Belardinelli è già stato ucciso ma è una constatazione oggettiva. E non potevamo permettere la consegna del riscatto. Questi denari vengono sempre riciclati in attività gravissime: il traffico degli stupefacenti. O servono per finanziare altri rapimenti. Se per la mafia si parla della necessità di incidere sul riciclaggio il problema si pone anche per i sequestri. E' denaro oggettivamente pericoloso. Dato non ultimo è che per i rapimenti i sequestratori si scoprono soltanto nel momento in cui avviene il versamento del riscatto. Queste sono indagini più difficili di quelle sulle Brigate rosse. trovare l' ostaggio in mezzo ai boschi, incatenato è quasi impossibile. E noi in questo modo abbiamo catturato gente sicuramente coinvolta in questo sequestro. Già, la banda dei sardi. E i calabresi? Abbiamo scarcerato quattro persone su cui avevamo una serie di elementi indizianti. Senza l' operazione di sabato avremmo potuto continuare a indagare inutilmente per mesi, per anni perché eravamo su una falsa pista. Pensavamo ai calabresi, è vero. Ma non va dimenticato che Croce Simonetta, uno degli arrestati, ha un accento calabrosiculo. Quando avete deciso il blitz non era preoccupato per l' ostaggio?
Le ansie, le preoccupazioni devono essere superate da un ragionamento razionale, dall' esame di altri sequestri. Il mancato pagamento del riscatto non ha mai portato all' uccisione dell' ostaggio che è in pericolo soltanto se costituisce una prova a carico dei rapitori, se ha visto in faccia qualcuno dei banditi. Invece qui in Toscana abbiamo le prove che i famigliari hanno continuato a pagare, inutilmente, anche dopo la morte del sequestro. A Piero Baldassini (rapito e assassinato nel 1977 dal clan dei sardi) avevano fatto scrivere lettere postdatate. Sul fronte opposto ricordo nuovamente il caso Manzoni.
Si dice che lei è amico di Belardinelli. Se è vero quanto le è costato prendere le decisioni che hanno portato al blitz? Guardi, qui a Firenze ci si conosce tutti, conosco Belardinelli. Quello del magistrato non è un mestiere facile. Bisogna restare attaccati alla razionalità. Abbiamo valutato il quadro normativo, gli indizi di cui ho già parlato con in più una precisa richiesta dei banditi: volevano che a pagare il riscatto fossero la figlia e il genero dell' imprenditore. In passato non era mai accaduto. Erano sempre intervenuti sacerdoti o dipendenti dei sequestrati. Probabilmente volevano rapire la donna. E adesso cosa s' aspetta dai banditi? Fossi loro rilascerei l' ostaggio. Ci sono attenuanti e diminuzioni di pena se fanno questo. Non possono ucciderlo, è un atto insensato. Non possono aggravare la loro situazione, gettare altro discredito sulla comunità sarda che in Toscana è perfettamente inserita, rispettata. di PAOLO VAGHEGGI https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
APPELLO DEI MAGISTRATI 'SARDI, CHI SA PARLI' FIRENZE Hanno chiesto aiuto ai sardi. Ieri il procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna e il sostituto procuratore Michele Polvani, i magistrati fiorentini che coordinano le indagini su questo difficile caso, hanno lanciato un appello alle comunità isolane, ai pastori che da anni vivono tra Toscana, Lazio e Umbria, nelle zone dove presumibilmente si trova la prigione dell' imprenditore. Poche parole che, per il tono, sembrano destinate ad alimentare un fuoco già acceso dalle perquisizioni giudicate dai sardi indiscriminate e intimidatorie. Noi non stiamo criminalizzando la comunità sarda che è apprezzatissima per le sue doti di laboriosità e di serietà morale ma credo che in questo momento debba dare una dimostrazione di collaborazione e di civismo, ha affermato il sostituto Michele Polvani evidentemente a caccia di testimoni, di indizi per rintracciare la prigione del re del caffè. Il richiamo al civismo però ha mandato su tutte le furie la comunità sarda. Non abbiamo doti taumaturgiche, è lo Stato che deve combattere questo fenomeno, hanno replicato. Insomma sta diventando il sequestro dei veleni. Sei giorni dopo il blitz l' inchiesta sul rapimento di Dante Belardinelli ormai perfettamente ricostruito grazie alle dichiarazioni di Croce Simonetta non registra grandi novità ma è circondata da contese, critiche, diatribe. La sparatoria avvenuta sulla bretella autostradale di Roma è, sia pur sotterraneamente, contestata. Più che una vittoria ha il sapore di una sconfitta. Ci sono morti e feriti. L' ostaggio non è stato liberato e probabilmente un' auto con dei banditi a bordo è riuscita a fuggire. Non solo. Dispute ministeriali hanno impedito l' arrivo a Firenze di Emilio Pazzi, attuale questore di Locri, per vent' anni questore di Nuoro, grande esperto nella lotta al banditismo sardo. Quello della procura ai sardi è stato il settimo appello in cinque giorni. Ma l' imprenditore, non è tornato a casa. Agenti di polizia e carabinieri hanno setacciato e setacciano la Maremma e l' alto Lazio senza succeso. Per il momento soltanto falsi allarmi come è accaduto l' altra notte nel grossetano. E' comunque certo che Dante Belardinelli, subito dopo il rapimento, fu tenuto prigioniero nei pressi di Aprilia, in un casale di proprietà di Bernardino e Diego Olzai, il primo ucciso e il secondo ferito nello scontro a fuoco avvenuto sulla bretella autostradale di Roma. Poi le tracce di Belardinelli si perdono nel fitto dei boschi. Non si sa con certezza neppure se l' imprenditore è vivo. Croce Simonetta, ferito gravemente nel blitz di Fiano Romano e che martedì sera è stato interrogato in ospedale dai magistrati fiorentini e dal sostituto romano Cesare Martellino, ha detto che l' ostaggio non è stato ucciso. Ma non ha fornito prove anche perchè ha ammesso soltanto le proprie responsabilità sostenendo di aver avuto un ruolo marginale perchè siciliano e non sardo. Le dichiarazioni di Croce Simonetta, che sembra disposto a presentarsi davanti alle telecamere per chiedere la liberazione dell' imprenditore, hanno permesso di ricostruire la storia del sequestro fino al momento in cui stava per essere consegnato il riscatto. La banda è composta da almeno sei persone. Un carceriere, quasi sicuramente Pietrino Mongile, un vivandiere e gli autori materiali del rapimento, i quattro malviventi bloccati dai Nocs sulla bretella autostradale: Giovanni Antonio Floris e Bernardino Olzai, uccisi nella sparatoria, Diego Olzai (le cui condizioni sono peggiorate, è in coma) e Croce Simonetta. Quest' ultimo, in realtà, è un personaggio di spicco dell' anonima: ricopriva il ruolo di telefonista e di postino. Ha chiamato la famiglia Belardinelli da cabine telefoniche di Milano, Bologna e Roma. L' accento di Croce Simonetta ha ingannato gli esperti della Criminalpol: hanno pensato a un calabrese. E Simonetta ha consegnato i messaggi con le richieste e quello con gli orecchi tagliati all' imprenditore. Non so dove si trova Belardinelli, ha detto ai magistrati. La famiglia tuttavia spera in un nuovo contatto. Ma in questo caso ci sarà un altro intervento dei Nocs? Viviamo ora per ora, ha risposto il sostituto Michele Polvani. di PAOLO VAGHEGGI https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
e finalmente…
IL LUNGO ABBRACCIO ALLA MOGLIE 'TESORO, ABBIAMO VINTO...' FIRENZE Ho avuto molta paura ma in casi come questo penso sia normale, dice con un filo di voce Maria Rosaria Belardinelli che il marito da sempre chiama affettuosamente Mimma. E' visibilmente scossa, emozionata. Indossa una camicetta bianca di cotone, una gonna di jeans. E' truccata, i capelli sono ben pettinati. Non ci sono stati momenti migliori o peggiori, solo momenti brutti, mormora mentre insieme a Pongo, un bellissimo dalmata, aspetta Dante, il marito. L' incubo del sequestro è finito all' alba di un afoso giovedì d' agosto. L' acqua della piscina piazzata proprio di fronte alla villa riflette il sole in via di Corbignano, una stradina alle porte di Firenze, tra Ponte a Mensola e Settignano, una fetta di campagna toscana dove un tempo lontano ha vissuto anche Boccaccio. Oggi dietro i muriccioli che ricordano i paesaggi di Ottone Rosai abita la nuova borghesia, gente che è diventata ricca nel dopoguerra lavorando duramente e che si è trasferita in quest' oasi verde a diecimila lire di taxi dal centro storico. Sprizzano gioia i vicini dell' imprenditore e sono scesi fino alla viuzza sterrata che porta al cancello di casa Belardinelli. Attendono il re del caffè che è stato rapito proprio qui, il 30 maggio. Alle 14,15 del 3 agosto ritorna, finalmente libero. E' felice, esultante. E' un miracolo grida e non si sottrae alle macchine dei fotografi che vogliono immortalare l' incontro con la moglie. Sembra un film. Mimma scende velocemente una scalinata di cotto. Lui l' aspetta in fondo. La barba è bianca, lunga. Sono lunghi anche i capelli. Riescono a nascondere l' offesa subita durante la prigionia: il taglio degli orecchi. Ma fisicamente è in buone condizioni, non dimostra 65 anni e fuma beato un mezzo sigaro toscano. Sta bene e devo riconoscere che gli orecchi sono stati incisi con professionalità, nessun pericolo, ha poi affermato il dottor Orazio Marrazza, il medico di famiglia e che di conseguenza ha consentito il primo interrogatorio, avvenuto nel tardo pomeriggio. L' abbraccio tra Mimma e Dante, atteso, sospirato, è lungo, fortissimo, e avviene nella confusione più totale. In mezzo alla coppia spunta un microfono della televisione e il crepitare degli scatti, la sequenza dei clic, copre ogni sussurro. Si baciano con timidezza Mimma e Dante Belardinelli, imbarazzati dalla presenza dei quaranta giornalisti che presidiano la strada e che a gran voce chiedono più voluttà. Non ci sono lacrime. Si scambiano poche parole. Non hanno bisogno di parlare. Alle 8, poco dopo esser stato liberato dai Nocs, l' imprenditore ha telefonato alla moglie. E' stato un momento di intima allegria. Hanno pianto e hanno riso. Poi Dante Belardinelli ha chiamato in azienda, in quella torrefazione, la Jolly, che l' ha fatto diventare il re del caffè. Ha risposto il genero, il signor Gerlando. Sto bene, sto bene...Dio mio, ho solo una gran voglia di vedervi, ha detto. Poche parole attese con grande emozione. Un' ora prima il ministro dell' interno Antonio Gava aveva parlato con la signora Mimma. Suo marito è libero, aveva annunciato. Pochi minuti dopo il procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna aveva spiegato i dettagli dell' operazione. E così era cominciata la lunga attesa: sono passate sei ore prima di veder apparire l' elicottero della polizia che ha portato Dante Belardinelli da Roma fino all' aeroporto di Peretola. Un' ora di volo, un viaggio lineare fino a San Giovanni Valdarno quando l' industriale ha chiesto al pilota di deviare dalla rotta per sorvolare la piccola fattoria che possiede nei pressi di Figline e la sua abitazione. L' atterraggio è avvennuto alle 13,5O mentre il sindaco di Firenze spediva un telegramma di felicitazioni a nome di tutti i cittadini di Firenze e via di Corbignano si riempiva di bianchi manifesti preparati velocemente dalla parrocchia e dalla casa del popolo di Ponte a Mensola. Il saluto della gente del posto che lo ha accolto in festa dopo aver trepidato, pregato e pianto. Sulla pista di Peretola Dante Belardinelli ha trovato le figlie, Annalisa e Annachiara. L' ha abbracciate, ha sospirato. Abbiamo vinto, ce l' abbiamo fatta, ha proclamato cercando poi di tranquillizzare le due donne. Non mi hanno trattato male, ha assicurato. E all' aeroporto la famiglia ha cercato di spegnere le polemiche sulla linea dura adottata dalla magistratura. Alvaro Belardinelli, il nipote, ha però ammesso: la linea dura è stata, per noi congiunti, un trauma. Siamo stati messi alle strette. Ma la gioia sorpassa le critiche e Dante Belardinelli ha soltanto voglia di mangiare una bistecca. Mostra l' indice e il medio in segno di vittoria, scherza sulla bellezza di una donna poliziotto che ha incontrato a Manciano, dice di essere arrivato in via di Corbignano come un pacco postale, al posto dell' ennesima lettera che i sequestratori gli avevano già fatto scrivere. Narra i giorni bui che ha vissuto, l' angoscia, la forza che ha trovato pregando. E un sospetto: per me il capo della banda era un sardo che abita vicino a Firenze. Un sospetto che ha raccontato al procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna, alle 18,30 quando il magistrato si è presentato nella villa di via di Corbignano. di PAOLO VAGHEGGI 04 agosto 1989 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/a...html?ref=search
Che piacevole lieto fine per il duro procuratore. Sembra quasi che sapesse che non lo avrebbero ammazzato. Chissà che fine ha fatto quel Mandelli, mi piacerebbe proprio farci quattro chiacchiere. |
|